GO EAST!

Entrare nei Paesi asiatici, come scegliere l’assetto societario

La scelta finale dipenderà da un mix di fattori del mercato e anche di prospettiva e di obiettivi interni della propria società

di Afonso Emanuele de Leon *

(AFP)

4' di lettura

Quando parlo di internazionalizzazione con le aziende occidentali, la domanda più ricorrente (dopo “come entrare con successo in Cina?” e “da quali paesi partire”) è “qual è il migliore assetto societario per entrare nei paesi asiatici tra le diverse possibilità Export, Cross Border, Distributore, Joint Venture, Filiale,ecc…?”. Ci sono chiaramente plus e minus di ognuno di questi ma la verità è che non esiste una risposta giusta o un assetto migliore degli altri in termini assoluti.

La scelta finale dipenderà da un mix di fattori del mercato e anche di prospettiva e di obiettivi interni della propria società.Per questo prima di considerare i plus e minus di ogni aspetto societario, è necessario approfondire quattro fattori che influiranno sulla decisione, quattro prismi fondamentali da analizzare per decidere la migliore modalità di ingresso nel mercato.

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1. Strategicità del mercato. Questo si declina sotto due punti di vista. Il primo sono le dimensioni assolute del mercato: quanto più è grande, tanto più sarà impegnativo da penetrare, ma altrettanto inevitabilmente prima o poi si finirà per gestirlo in forma diretta. Ma oltre alla dimensione, occorre domandarsi: esistono altri fattori che rendono importante avere successo in questo mercato? Si tratta di un mercato tecnologicamente avanzato nel quale è importante avere una presa diretta per avere accesso alle ultime tendenze e tecnologie? Oppure vi è un elemento di immagine e di prestigio che si irradia ad altri mercati? Ad esempio nel settore del selettivo (moda, beauty e design) in Asia la Corea del Sud riveste un'importanza strategica in quanto è il Soft power della regione asiatica. In tutti i paesi asiatici si guardano le serie tv coreane e si ascolta il k-pop, che esportano i loro stili canoni estetici e product placement, che sono pertanto da presenziare nel mercato coreano per potere crescere in tutta l'Asia.

2. Difficoltà e complessità di ingresso nel mercato. La difficoltà può risiedere nella vastità, nelle barriere regolamentari e di registrazione dei prodotti, nella sofisticazione del consumatore, e altro ancora. Facciamo qualche esempio. Il Giappone non ha grandi difficoltà regolamentari all’ingresso, ma la distribuzione è estremamente matura e nel caso del mercato del lusso il principale canale di distribuzione ad oggi, i department stores, ammortizzano gli shop in 10 anni e quindi raramente si liberano spazi per nuovi entranti, per cui è necessario trovare un partner che abbia una relazione molto stretta con la distribuzione. Anche l’ingresso in Corea del Sud non è troppo difficile dal punti di vista regolamentare, ma è un mercato maturo ed iper competitivo, con dei competitor locali formidabili, quindi anche in Corea è necessario trovare partner locali anche con capabilities di real estate. In Cina la difficoltà risiede nella vastità del mercato e negli ingenti investimenti richiesti, spesso nella registrazione e difesa del marchio (e dei prodotti), ma soprattutto i sistemi digitali di influenza del consumatore sono complessissimi e molto diversi dai nostri e vanno compresi prima di farsi del male. In Cina servono capitali e management sofisticato e locale.

Nei paesi meno sviluppati ma a maggior crescita del Sud Est Asiatico come l’Indonesia (300 milioni di abitanti) e il Vietnam (100 milioni), oltre al fatto che l’importazione e la registrazione di prodotti è molto complessa, è di fatto vietato ad aziende straniere di operare senza un partner locale di maggioranza.Come avevamo visto nel precedente articolo, spesso tutti questi fattori di complessità e regolamentazione vengono sottovalutati e non pienamente approfonditi prima di imbarcarsi nel processo di internazionalizzazione ed una loro previa comprensione è un passaggio obbligato per capire con che tipo di assetto proporci in questi paesi e che eventuale partnership ricercare.

3. Controllo sulla brand image e customer experience. Strategico nei settori selettivi: quanto più avremo un assetto societario proprio (affiliate o joint venture) tanto più avremo controllo di come la marca viene costruita e di come viene assicurata l’esperienza al consumatore (in store e online) e quindi eviteremo problemi di esecuzione e diluizione della marca che a lungo termine potrebbero comprometterne il potenziale a lungo termine.

4. Prospettiva finanziaria della propria azienda. La valutazione del business plan di ingresso nel mercato non vive a sé stante, ma va incrociata con la strategia finanziaria della nostra azienda. Che orizzonte temporale hanno gli investimenti nella nostra azienda? Esiste una regola interna di ritorno del capitale investito? Siamo in presenza di un patient capital che è disposto a sopportare perdite per i primi anni per raccogliere i frutti a medio termine, oppure la richiesta è di portare rendimenti immediati? Nella mia esperienza questo è il primo fattore di considerazione non solo all’ingresso nel mercato, ma anche quando si vuole cambiare l’assetto, ad esempio rilevando il distributore o la joint venture esistente, o al contrario liquidare la filiale e passare ad un distributore. E ovviamente la prospettiva finanziaria spesso si incrocia con il primo punto della strategicità del mercato, ovvero in un mercato strategico forse vi sarà una maggiore flessibilità sulle regole finanziarie mentre negli altri si sarà meno disposti ad accettare sacrifici finanziari.

L’Asia richiede quello che si chiama un long term commitment e nel momento in cui l’azienda comincia il percorso deve essere sicura che tutti gli elementi finanziari siano stati accuratamente pianificati. Una volta ponderati questi quattro fattori allora sì, che diventa molto più semplice capire le valenze dei diversi assetti: Export, Cross Border, Distributore, Joint Venture, Filiale,…Lo vedremo nel prossimo articolo. Go East!

* Partner presso FA Hong Kong Consulting


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