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Ercole Baldini, una mostra per riscoprire un protagonista del ciclismo italiano

Sabato 11 novembre si apre la rassegna sull’ex campione scomparso quasi un anno fa e fino ad oggi un po’ trascurato dalla memoria collettiva

di Dario Ceccarelli

5' di lettura

Ora che il ciclismo è in letargo - e forse con la penuria di campioni che abbiamo è meglio così - vi suggeriamo una magnifica mostra che sia apre questo sabato 11 novembre a Forlì, su un grande protagonista del ciclismo italiano, scomparso quasi un anno fa, purtroppo un po’ trascurato dalla memoria collettiva sempre più schiacciata da un effimero presente che rimuove il meglio del passato.

Parliamo di Ercole Baldini, il gigante romagnolo detto anche il “treno di Forlì. Un talento straordinario, esploso a metà degli Anni Cinquanta, quando stava tramontando il periodo aureo di Coppi e Bartali ed era ancora da venire quello di Gimondi e Merckx.

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In questo interregno, Baldini ha lasciato un segno breve ma profondissimo. Un ciclone, una forza della natura, che In tre stagioni (1956, ’57 e ’58) ha dominato il mondo del ciclismo raggiungendo una popolarità che sembrava far impallidire perfino quella di Fausto Coppi, da tempo avviato a un malinconico declino.

Baldini Ercole, di nome e di fatto. Capace di titaniche fatiche e mirabolanti imprese che nessuno ha più saputo vantare: un oro olimpico a Melbourne nel 1956, centrato a soli 23 anni quando era ancora dilettante; un campionato Mondiale su strada a Reims (’58) e il Giro d’Italia sempre nel 1958. Ma non basta perchè il campione romagnolo, prima dell’exploit di Melbourne, era riuscito a strappare a Jacques Anquetil il primato dell’ora. Record che il francese aveva appena tolto a Fausto Coppi.

Ecco, stiamo parlando di due leggende, due protagonisti assoluti della storia del ciclismo. Eppure Baldini, ancora dilettante, era stato capace di superarli realizzando un primato futuribile che di solito si raggiunge nella piena maturità. Ma Ercole Baldini, nato a Villanova di Forlì nel 1933, era già un campione fatto e finito. Con un fisico possente e una pedalata che ricordava per stile quella dei suoi maestri, Alfredo Binda e Fausto Coppi. Era un mix perfetto di forza ed eleganza, di agilità e potenza. Per questo motivo incatenò il cuore dei tifosi, pronti a innamorarsi di un nuovo campione che riportasse in auge il ciclismo italiano.

Del resto era stato lo stesso Coppi, a “battezzarlo” quando il romagnolo aveva centrato il record dell’ora dei dilettanti: “Questo record è solo una tappa…” aveva profetizzato Fausto. “Con la sua andatura naturale, con la sua capacità di mantenere medie elevate e costanti, quel ragazzo è destinato al primato assoluto”. E infatti.

In questo incrocio di destini, tra miti come Coppi e Anquetil, si consuma la breve ma intensissima carriera di Baldini. Indicato a furor di popolo come l’erede del Campionissimo. Proprio da Coppi ricevette infatti il via libera per il titolo mondiale di Reims nel 1958. Mancavano 250 chilometri e l’attacco sembrava velleitario come uno sparo nel buio. Baldini, in fuga con Voortin, Nencini e Bobet, li staccò invece uno ad uno diventando campione del mondo. Un’umiliazione per i rivali francesi, battuti proprio davanti ai loro tifosi.

Un trionfo per il “treno di Forlì” che verrà affiancato a tutti gli assi del nostro ciclismo, da Girardengo a Binda, da Bartali e Coppi. Con quest’ultimo, che pure avrebbe potuto soffrire per la rapida ascesa del giovane romagnolo, si stabilì un’intesa speciale, quasi da fratello maggiore che trasmette la sua esperienza a quello minore.

Un sodalizio che si cementò al Trofeo Baracchi del 1957 quando Baldini, grazie alle sue poderose “trenate”, portò Coppi alla vittoria, un Coppi già 38enne, ormai ai titoli di coda della carriera, che non ebbe difficoltà a riconoscere, pubblicamente, i meriti del suo giovane compagno.

Le imprese di Baldini

Le imprese di Baldini, al di là dei numeri statistici, hanno sempre colpito la fantasia del pubblico. Perchè Ercole era un generoso, sempre pronto a mettersi in gioco, dotato in più di una classe straordinaria. E in quel magico 1958, prima del trionfo al Mondiale, lo si vide quando si aggiudicò da dominatore il Giro d’Italia. Nonostante fosse un passista, di robusta complessione fisica, il romagnolo riuscì ad imporsi anche in montagna infliggendo distacchi pesanti a rivali come Gaul, Bahamontes, Bobet, Nencini e Geminiani, figure leggendarie inserite a pieno titolo nell’album di famiglia dei miti del ciclismo.

In quel Giro, Baldini si aggiudicò 4 tappe , compresa quella dolomitica a Bolzano e la cronometro di 60 chilometri di Viareggio in cui polverizzò la concorrenza. Ma il suo capolavoro fu nella salita di Bosco Chiesanuova, quando riuscì a staccare uno specialista come Charly Gaul e a conquistare la maglia rosa.

Un anno d’oro, quel 1958. Ercole allora pesava 75 chili e sembrava imbattibile, ormai lanciato verso un futuro sempre più luminoso. Ma come tutti i più grandi campioni - a parte Merckx, granitico nella sua invulnerabilità - Baldini aveva un suo punto debole, una fragilità che si manifestò dopo un intervento d’urgenza di appendicite cui fu costretto prima del Giro d’Italia del 1959. Complice anche una brutta polmonite, il corridore romagnolo non riuscì più a riconfermare il suo immenso talento. Forse fu la fretta di guarire, o forse solo il metabolismo che lo tradiva.

“Mi faceva ingrassare anche l’aria che respiravo”, confidò Baldini. Il suo peso forma continuava a impennarsi non riuscendo mai a scendere sotto gli ottanta chili, un peso esagerato per essere competitivo nei grandi Giri. Ai tempi nostri, forse, un bravo dietologo l’avrebbe rimesso in linea permettendogli di imporre la sua classe anche negli anni successivi. Rimase protagonista, ma solo nelle prove contro il tempo e nell’inseguimento dove nel 1964, quando poi si ritirò, riuscì a conquistare il terzo posto al Mondiale di Parigi.

Un epilogo non compreso dal grande pubblico che, in Baldini, aveva creduto di trovare il nuovo Coppi. E quindi non gli perdonò il declino precoce. “Il treno di Forlì” era arrivato al capolinea, ma Ercole se ne fece presto una ragione. Felicemente sposato con Wanda, da cui ebbe i due figli Mino e Riziero, ripartì con una seconda vita altrettanto realizzata sia come imprenditore, con l’azienda di famiglia, sia come apprezzato dirigente, diventando prima presidente dell’Associazione Corridori e poi di Lega. Una vita piena purtroppo incupita, negli ultimi anni, dalla scomparsa della moglie e da una salute sempre più precaria che lo portò quasi alla cecità. Un finale amaro che lo isolò anche dai vecchi amici del ciclismo.

Ercole Baldini è morto a Forlì il primo dicembre 2022 all’eta di 89 anni. Ora di lui, oltre alle sue straordinarie imprese sportive, ci resta indelebile la sua contagiosa simpatia romagnola ben ritratta da Jacques Anquetil, il suo grande rivale degli anni più belli: “Mai incontrato un avversario che fosse anche un grandissimo e sincero amico come Ercole. Un cronoman fortissimo e una persona con cui ho vissuto momenti splendidi”.

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La mostra su Ercole Baldini, gratuita e aperta setti giorni su sette fino al 7 gennaio 2024 al Museo Civico di San Domenico a Forlì, è un tributo della città forlivese e della Regione Emilia Romagna a un cittadino illustre che ha onorato l’Italia nel mondo. Al progetto, curato da Beppe Conti con il supporto di Minerva Edizioni, verranno esposte le biciclette e i cimeli più prestigiosi. Le immagini più significative della vita di Baldini saranno narrate dagli scatti fotografici in bianco e nero del noto fotoreporter bolognese Walter Breviglieri che seguì il corridore in tutta la sua carriera.

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