Eremi d’autore, pellegrinaggio alla casina rosa di Guido Morselli
di Antonio Armano
5' di lettura
Anche se gli scrittori sono spesso dei libertini, non esiste un'attività più monacale di quella dello scrivere un libro. Non per niente alcune case di scrittore assomigliano a un eremo e andarci ricorda un pellegrinaggio. Vale per casa Malaparte a Capri, che si raggiunge attraverso un sentiero e sta sugli scogli come un nido d'aquila, per la boat-house di Dylan Thomas nel Galles - si chiama così perché quando la marea è alta le acque la lambiscono come se fosse una nave -, e per la “casina rosa”, come Guido Morselli chiamava il rifugio di Santa Trinita a Gavirate, da cui si vede il lago di Varese e il monte Rosa.
Come Malaparte, anche Morselli si è progettato da solo il suo eremo, sia pure in modo meno spettacolare. Grazie ai mezzi finanziari del padre, un dirigente dell'industria farmaceutica Carlo Erba, ha potuto ritirarsi a scrivere, senza dover lavorare, con una piccola rendita. Niente di stratosferico: Morselli andava in giro con abiti consunti, si concedeva vezzi come un rustico spago al posto delle stringhe, ma aveva i tratti, fisici e caratteriali del signore. Signore di campagna, s'intende, essendo un tipo solitario e amante più della natura che della città. Una via di mezzo tra Visconti e Tolstoj. Era magro, con un naso aristocratico e faceva sentire il suo rango. Anche se sulla carta d'identità si definiva “agricoltore”, le faccende rurali erano sbrigate dal suo fattore, il quale viveva con la famiglia nella casa all'inizio del sentiero che porta verso la casina. Con le persone che incontrava preferiva parlare dei suoi capperi o del suo vino che di progetti letterari. Vino e progetti letterari avevano qualcosa in comune perché a un certo punto – a causa delle difficoltà editoriali –disegnava fiaschi sui manoscritti. La casina rosa è rosa e molto semplice, quasi elementare, aveva diverse stufe e camini, come si può vedere dai comignoli e due piani.
Raggiungerla, partendo dalla chiesa di Santa Trinita, sulla strada che da Masnago (Varese) porta a Gavirate, è come una “ascesi” letteraria. Si cammina in salita per una decina di minuti e si sbuca in un prato, in cima all'altura, tra i boschi. E' un luogo non lontano dalla civiltà – il centro Gavirate si trova poco distante – ma appartato e in mezzo al bosco. Un eremo o un rifugio raggiungibile senza difficoltà. Diciamo in un'ora e mezzo da Milano e in mezz'ora da Varese. Lo scrittore un giorno ha ritrovato il prato invaso dalle pecore. Era inverno e ha invitato il pastore a dormire con lui, ma quello ha rifiutato dicendo che un pastore deve dormire all'aperto.
Morselli non era così “selvatico” come lo dipingono a volte.
Andava alla libreria Pontiggia di Varese – non esiste più – o scendeva a scrivere al caffè Veniani di Gavirate con la sua cavalla Zeffirino. La cavalla aveva il nome maschile di un vento ed era stata comprata dal padre alla fiera di Verona. Veniani a Gavirate esiste ancora, è un'ottima pasticceria e si possono ancora mangiare i “brutti e buoni”, i dolci tipici che si fanno con albume, zucchero e mandorle e sono molto leggeri, anche se non hanno l'aspetto lezioso dei pasticcini. Morselli voleva mandarli a Calvino, l'editor dell'Einaudi che aveva apprezzato il suo romanzo “Il comunista”, ma naturalmente non al punto di pubblicarlo. Come è stato ripetuto troppe volte – magari per trovare un alibi ai propri fiaschi -, Morselli non ha pubblicato niente in vita, se non qualche saggio a pagamento negli anni '40. Ha conosciuto il successo post-mortem. L'attività letteraria che ha portato avanti come un monaco negli anni '60 non è mai approdata in libreria.
Difficile dire quanto le difficoltà editoriali abbiano inciso sulla decisione di togliersi la vita nell'agosto del 1973, appena prima di compiere 61 anni e appena dopo avere trovato il manoscritto di Dissipatio H.G. nella cassetta delle lettere, rifiutato da Mondadori. Dissipatio H. G. è forse il libro più bello di Morselli e vi si narra di un giornalista che tenta il suicidio gettandosi nel lago interno a una caverna, fallisce e quando esce si accorge che l'umanità è sparita. La natura si riprende il suo spazio e le galline razzolano davanti alla borsa di Crispoli, che sarebbe Zurigo.
Il rapporto con la natura
Morselli aveva una grande sensibilità naturalistica ed è stato tra i primi a scrivere articoli contro gli scempi architettonici dell'Italia del boom industriale, dalle cui brutture siamo ancora circondati. Sosteneva che la natura è un diritto di tutti e non solo dei cittadini benestanti che al weekend lasciano le città ormai invivibili per andare al mare o in montagna. Quando si è tolto la vita, Morselli non stava più nella casina rosa e anche questo pesava. Se n'era dovuto andare perché la diabolica alleanza tra motocrossisti e ghiri, sul tetto e sui sentieri, turbava il silenzio dell'eremo. Era molto sensibile ai rumori. Aveva scritto una lettera a Konrand Lorenz per risolvere il problema dei ghiri. Morselli, un po' come Moresco, scriveva “lettere a nessuno”. Cercava di rompere il suo isolamento intellettuale – non fare parte di una consorteria in quegli anni era penalizzante -, rivolgendosi a persone che non conosceva. Una delle sue lettere era indirizzata a Vittorio Gassman.
Lo spettacolo a teatro
Tra gli inediti Morselliani – i romanzi sono stati pubblicati da Adelphi dopo la morte – ci sono le commedie. Una è dedicata a Carlo Marx, il filosofo di Treviri di cui ricorrono il 5 maggio i 200 anni dalla nascita. Un Marx umanizzato, che viaggia in Europa, tormenta un muratore che lavora nella sua casa di Londra invitandolo a buttare il “maelstrom di carta” da cui era sommerso. La pièce – Marx: rottura verso l'uomo - verrà rappresentata al teatro del popolo di Gallarate sabato, alle 21. Morselli voleva che fosse Gassman a interpretare Marx perché era alto come lui, anche se meno “monumentale”. La pièce non andrà mai in scena. Il fiasco contrassegna la vita letteraria di Morselli. Solo dopo la morte ha incontrato la fortuna editoriale. Per quella teatrale chissà.
Il contrario per il vino, comunque. Il rosso che produceva, il rosso del podere di Santa Trinita, è stato sradicato dai terrazzamenti sotto la casina rosa. Linda Terziroli, studiosa di Morselli, ha rintracciato una bottiglia, dalla figlia del suo fattore. Si spera che torni in produzione nell'ambito del ritorno enologico che sta vivendo il territorio di Varese, ma forse è solo un sogno.
Il fantasma
Un incubo si è rivelata invece la vita degli obiettori di coscienza che hanno vissuto nella casina rosa, donata da Morselli al comune di Gavirate. Sostenevano che la casa fosse tormentata da un fantasma. La presenza è stata confermata dalla famiglia che attualmente ci vive. Una notte la figlia degli inquilini attuali si è svegliata dicendo che c'era un uomo che la guardava nella sua stanza. La cosa è finita lì per qualche tempo. Finché la bambina è entrata nella biblioteca di Varese e ha detto: “E' quello l'uomo che c'era nella mia stanza”. Ed era un cartellone che raffigurava lo scrittore, da lei mai visto prima.
Al di là di queste suggestione inquietante, la casa invita a pensare ai momenti felici di Morselli, che si è potuto dedicare all'attività monacale della scrittura, circondato da amiche – era un seduttore -, e immerso nella natura; ci invita a fare l'unica cosa che possiamo davvero fare per lui: leggerlo.
Il premio
A Morselli è riservato un premio per romanzi inediti e la premiazione si svolge alla casina rosa a maggio (per informazioni sul premio e le visite alla casina consultare il sito guidomorselli.org oppure chiamare il numero 328.0064078). Il premio, nato da un'idea di Linda Terziroli si rivolge a chi ha problemi di pubblicazione come lo scrittore di Varese.
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