Ernst Jünger: La pace è una forza spirituale
A 127 anni dalla nascita nel suo saggio “La pace” troviamo spunti di straordinaria attualità per una “ristrutturazione” della civiltà europea
di Luca Siniscalco
2' di lettura
«Affinché la lotta al nichilismo abbia successo, occorre che si compia nel cuore del singolo. Tutti ne sono coinvolti e nessuno può fare a meno della cura che è stata preparata dal mondo del dolore». “Così si esprimeva ne La pace (1945) Ernst Jünger, Contemplatore solitario di quel Secolo breve che pure è stato così duraturo con quel pesante fardello di ideologie e narrazioni che la nostra contemporaneità fatica a scrollarsi di dosso, e piuttosto rielabora nelle forme postmoderne del pastiche e del collage.
Oggi, a 127 anni dalla nascita di questo dandy multiforme, capace di affrontare le temperie delle tempeste d'acciaio e della mobilitazione totale con lo stesso sguardo profondo e distaccato esercitato nella contemplazione delle forme del sacro e nella disamina del nichilismo, la sua opera non cessa di offrire spunti di straordinaria attualità.
“La pace”
In particolare, ci pare fruttuoso evocare, nel contesto geopolitico attuale, alcuni spunti offerti da “La pace”, saggio ormai fuori catalogo in Italia, erroneamente considerato minore, che invece compendia molte delle grandi intuizioni dell'opera jüngeriana. Scritta fra le macerie di un'Europa dilaniata da uno scontro fratricida, “La pace” è un cantiere immaginifico d'intuizioni utopiche – ma non utopiste – per una “ristrutturazione” della civiltà europea. La base di partenza per tale impresa, secondo Jünger, non è riposta negli equilibri fra potenze, bensì nella stoffa del singolo: è nell'uomo differenziato, capace di vincere il nichilismo in-formandolo e assoggettandolo alla propria disposizione interiore, che si rivela la possibilità di fondare un'Europa che sia frutto del «matrimonio dei suoi popoli», indirizzata alla «libertà superiore» mediante un «atto spirituale».
L’impietosa critica jüngeriana ai totalitarismi “rossi” e “neri”
Questo progetto è possibile «soltanto se gli uomini si rafforzano dal punto di vista metafisico»: ecco perché l'impietosa critica jüngeriana ai totalitarismi “rossi” e “neri” non lascia indenne la prospettiva liberale – «nella polemica contro i nichilisti, i liberali assomigliano ai padri che si lamentano dei figli mal riusciti, senza rendersi conto che la colpa è dell'educazione sbagliata»: del nichilismo, insomma, non è esente alcuna forma politica della modernità. Lo scacco all'“ospite inquietante” dell'Europa avverrà tramite la sintonia della decisione sovrana del singolo con il manifestarsi di una «Nuova Teologia», idonea ad una risimbolizzazione organica della realtà: solo qui, negli «spiriti che vivono nella totalità della creazione», vi può essere pace. La pace imposta con il diritto, la coercizione, le minacce, è soltanto esteriore, la pace autentica è un esercizio “interno”, più coraggioso di quello della guerra. Verrà conseguita, profetizza Jünger, soltanto se «sapremo affrancarci dall'odio e dalle sue scissioni. Il singolo è simile alla luce che, divampando, costringe le tenebre ad arretrare». A centoventisette anni, Jünger è più vivo di molti morti-in-vita.
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