Esplorazioni di nuovi sapori sotto il cielo dell’Alentejo
Un itinerario di gusto fra Évora, Monsaraz, con un passaggio nell’immancabile Lisbona, tra ristoranti di ricerca e raffinatezze retrò
di Fernanda Roggero
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Luciano e Felipe si sono alternati tutta la notte. Nel buio fondo del cielo solo la palla bianca della luna si riflette sulle acque immobili dell’Alqueva, il lago artificiale più grande d’Europa, e getta un lampo di luce sopra le braci. È la griglia all’argentina, bellezza. E consuma lenta dall’ora del tramonto fino a quando il sole splende a picco e sulle tavole apparecchiate compaiono i primi calici di vino. Alentejo, esterno giorno. Si inaugura Casa Nossa, la “dimora del lago” di Campinho, a pochi chilometri dal villaggio di Monsaraz, piccolo gioiello architettonico aggrappato sui colli. Tutto intorno ulivi e, soprattutto, le querce da sughero, quelle che fanno del Portogallo il principale produttore al mondo di tappi. Su ogni fusto campeggia una sigla, a indicare la data dell’ultima “scortica”, perché l’albero può essere spogliato solo ogni nove anni.
Qui il pluristellato cuoco portoghese José Avillez e la moglie Sofia avevano individuato quello che avrebbe dovuto diventare il loro buen retiro. Sessantacinque ettari degradanti verso il lago, con una vista spettacolare e la quiete di un luogo solitario, dove a perdita d’occhio non incontri altri segni di vita. La dimora, costruita in stile alentejo, con un ampio porticato a riparare dall’inclemente sole estivo e un immenso camino a scaldare le serate invernali, si è poi trasformata in luogo aperto agli ospiti. Non è un albergo di charme, ma un’unica proprietà dove una famiglia o un gruppo di amici si ritrovano per un soggiorno di riposo alla scoperta di una delle regioni portoghesi più autentiche, ancora libera dai flussi del turismo di massa.
Tra un tuffo in piscina, una lezione di yoga sul prato e una gita in barca ci si può avventurare nei piccoli villaggi agricoli e raggiungere Évora, capoluogo della regione, patrimonio Unesco. Perdersi tra le strette stradine del centro riporta dritti alle atmosfere maestose del XV secolo, quando la città era residenza reale e sede di un’importante università, fondata nel 1559 per contrastare quella più antica e indipendente di Coimbra. Ma la sua storia affonda in radici molto più antiche. Dei tempi romani - Cesare la chiamò Liberalitas Julia - restano il tempio dedicato a Diana e un arco di trionfo. Non troppo distante il piccolo, affascinante borgo di Monsaraz, con il suo castello a guardia della pianura rigogliosa.
Una bella chiesa, strade in pietra e bassi edifici in cui vive una popolazione che non raggiunge le cinque decine. Sosta obbligata alla Fábrica Alentejana, dove Mizette Nielsen, danese innamorata del Portogallo, vende articoli di artigianato locale e soprattutto le mantas de Reguengos, tipiche coperte alentejane di lana o cotone, in origine usate dai pastori e decorate con motivi arabi.
Tutta la regione è ricca di vigneti e molte cantine sono aperte alle visite. Campo Maior, al confine con la Spagna, merita una visita per l’interessante museo del caffè e per la Festa das Flores, quando la cittadina è tutta adorna di fiori di carta multicolori. Il consiglio è di tornare a Casa Nossa per i pasti: i cuochi passati per le cucine di Avillez propongono agli ospiti della casa ricette tradizionali dove l’autenticità è mitigata da uno sguardo contemporaneo (e leggero). Per un affondo più rustico ci si può affidare alle vecchie osterie di paese (le tasca) o alle Casas de pasto dove gustare Bacalhau, Caldo verde (minestra di patate e cavolo con rondelle di salsiccia speziata o fettine di lingua affumicata) e le immancabili sardine. Sulla via del ritorno a Lisbona gli appassionati di sardine troveranno pane per i loro denti a Loja das conservas, dove le scatolette di metallo, sgargianti e artistiche, sono esposte come in un museo. Raffinatezza retrò sugli scaffali di A vida portuguesa, con set da barba anni Cinquanta adagiati a fianco di quaderni rilegati a mano e oggetti per la casa d’antan.
Per un tour della città non scontato si possono inseguire gli itinerari della street art: Lisbona ha scommesso da tempo sull’arte urbana e i grandi murales che portano le firme di artisti affermati lo testimoniano. All’Alfama c’è un pezzo dedicato alla regina del fado, Amália Rodrigues, realizzato da uno degli street artist portoghesi più famosi, Vhils. Mentre in Rua Natália Correia il celebre Obey-Shepard Fairey ha lasciato il segno con “Peace Guard” che raffigura una donna soldato con un fiore nella canna del fucile.
Dopo un caffè alla Brasileira, l’iconico locale del quartiere Chiado, o una cioccolata calda nel più moderno Bettina, a due passi dai giardini botanici al Barrio alto, si può proseguire a caccia dei migliori speakeasy della città. Si parte da Ulysses, nello storico quartiere di Alfama, solo 12 posti a cui si accede normalmente con una parola d’ordine, e una straordinaria collezione di bourbon e cocktail personalizzati a cura del proprietario Manuel. Liquid Love è un gastrobar con atmosfere anni Ottanta, mentre Pavilhão Chinês è l’abbagliante contenitore delle disparate collezioni - soldatini, cimeli di guerra, contenitori per spezie o sigari cubani, ventagli - di Luis Pinto Coelho. Infine Quattro Teste, gestito da una coppia italo-basca, che può ospitare al massimo 6 persone: da provare il Nuclear Melon-Pesto Margarita e il Sidro basco.
Chi vuole accompagnare un buon drink a piatti più elaborati ha una meta unica, il Mini Bar: in tempi pre-pandemici era un cabaret, oggi vi si suona musica dal vivo e si gustano Avocado in tempura con kimchi essiccati e germogli di coriandolo, o curry esotici. Anche la capitale del baccalà si è adeguata ai nuovi trend alimentari e moltiplica le offerte vegetariane: Encanto ha un menù di alta cucina interamente plant-based che non fa rimpiangere le proteine animali (pure in un piatto del tutto dedicato alla carota come la Tartelete de cenoura).
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