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Esport, competizioni e soldi: gli streamers non sono tutti uguali

Telefono azzurro chiede una normativa che affronti il grande tema dei ragazzi che nella rete diventano attivi lavoratori e che non hanno una tutela adeguata.

di Luca Tremolada

2' di lettura

alerio Gallo ha 21 anni, lavora e studia Lingue all’Università e da grande voleva fare il pilota, quello vero invece è diventato il primo italiano a vincere la Nations Cup, i campionati mondiali di Gran Turismo il videogioco di racing di Playstation. Che non è male, anzi, «è stato bellissimo - si affretta a precisare - ma non sono certo diventato ricco come altri influencer di successo degli eSport». Eppure, il sim-racing cioè le corse in auto videoludiche non sono meno complicate di Fortnite e altri giochi. Nelle World Finals della Nations Cup, che si sono tenute a dicembre hanno gareggiato ben 32 concorrenti in rappresentanza di 18 paesi differenti. Valerio Gallo si allena tutti i giorni. Ma ci sono eSport ed eSport e non tutti i Pro Player (giocatori professionisti) sono uguali, esattamente come avviene anche nel mondo reale.

Per esempio, Giorgio Calandrelli (aka Pow3r) è nato nel 1992 a Ostia. Ha quasi due milioni di follower su Twitch e 1,3 milioni sul suo canale YouTube. Gioca prevalentemente a Fortnite, ma anche a Valorant, Call of Duty: Warzone e Apex Legends. Ha già pubblicato un libro autobiografico, “Io sono Pow3r”, è atleta Adidas e ambassador per Vodafone. Ed è lo streamer più famoso d'Italia. Il più “vecchio” pro player italiano e più titolato è Alessandro Vallone, Campione del Mondo con più di 30 podi internazionali. È co-fondatore di Faceit, consulente e ha ricevuto dal sindaco di Andora le chiavi della città. Come Pow3r hanno iniziato giovanissimi e sono diventati imprenditori di loro stessi. Negli eSport il primo passo di un Pro Player è spesso quello di vincere una competizione. Kyle “Bugha” Giersdorf a 16 anni ha vinto 3 milioni di dollari nella prima Coppa del Mondo di Fortnite nel 2019. Stupisce l’età sempre più bassa di questi campioni che per partecipare a simili tornei, in cui spesso in palio ci sono premi milionari, devono prepararsi giorno e notte davanti al computer. La maggioranza dei tornei prevede un limite minimo di 16 anni per partecipare.

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Nel caso dei team il contratto è tra la società e i genitori del minorenne. Nelle competizioni aperte a tutti, come nel caso dei Fortnite World Cup, i premi sono tassati nel Paese d’origine e “incassa” la vincita direttamente l’atleta. Come per gli influencer della generazone Z, i tiktoker che ballano e tutti gli adolescenti che iniziano a dire cose, giocare o mostrare prodotti davanti a una telecamera queste carriere iniziano spesso quando ancora non si è maggiorenni.

Quando circolano certe cifre non è più solo divertimento ma lavoro. «Serve una normativa che affronti il grande tema dei ragazzi che nella rete diventano attivi lavoratori e che non hanno una tutela adeguata. Prima di inserire un bambino in un contesto commerciale - osserva Ernesto Caffo presidente di Telefono Azzurro -, sono necessarie regole e sistemi di tutela».

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