Esserci o non esserci? La moda alle prese con i dilemmi dei nuovi social
Da Clubhouse a TikTok, i brand si confrontano con l’evoluzione e le novità delle piattaforme, che offrono sempre più strumenti commerciali. Ma c’è anche chi punta sull’assenza
di Chiara Beghelli
3' di lettura
È solo questione di tempo: chi sarà il primo marchio della moda a entrare in una stanza e lanciare una discussione su Clubhouse, il social del momento? Il mondo dei social network non è mai stato così ricco di possibilità e affollato, popolato - il dato è di We Are Social e si ferma allo scorso ottobre - da 4,14 miliardi di utenti, soprattutto giovani e nuovi, potenziali clienti.
Per questo un mese fa ha fatto scalpore l'annuncio di Bottega Veneta di voler chiudere tutti i suoi account social, arroccandosi in un silenzio ormai sconosciuto all'industria e per questo interpretato come strategia per comunicare una maggiore esclusività. Se però si accede a Weibo, il social più diffuso in Cina, Bottega Veneta c'è ancora e pubblica nuovi post ogni due giorni circa. La nuova questione che anima la moda non è infatti se essere o no nei social, ma dove essere e come.
Maturati ormai su Facebook, Twitter e Instagram, i marchi della moda e del lusso si stanno affacciando con sempre maggior frequenza e interesse ai social rampanti, TikTok in testa: la piattaforma della cinese ByteDance dove soprattutto i giovanissimi postano micro clip da 15-60 secondi, ha 1,2 miliardi di utenti attivi ed è quella che al momento sta crescendo più in fretta.
Per questo Img, la più importante agenzia di modeling, usa la piattaforma per scovare volti nuovi; Prada ha invitato Charli D'Amelio, tiktoker di 16 anni con oltre 107 milioni di follower (e oltre 9 su YouTube), alla sua sfilata AI 2020; Hedi Slimane di Celine ha scelto Noen Eubanks (11 milioni di follower) come volto di Celine. Certo, si tratta in ogni caso di adolescenti di quella Gen Z che sta iniziando ad affacciarsi sul mondo del lusso. Ma una statistica molto interessante di Influencer Marketing Hub ha rilevato che negli Stati Uniti, il Paese con più utenti di TikTok, circa il 40% degli utenti adulti della piattaforma ha un alto reddito, pari ad almeno 100mila dollari annui.
Anche per questo lo scorso ottobre TikTok ha lanciato gli shoppable ads, contenuti video dai quali si può accedere direttamente all'e-store del marchio, realizzati in collaborazione con Shopify. Secondo il Financial Times negli Stati Uniti la piattaforma sarebbe pronta a lanciare molti nuovi strumenti rivolti agli inserzionisti. Sulla scia del modello TikTok, anche Instagram ha lanciato i nuovi microclip Reels, rendendoli subito shoppable. E YouTube, sempre negli Stati Uniti, sta sperimentando un nuovo comando per poter acquistare i prodotti contenuti nei video.
Oltre le piattaforme più note, l'ecosistema dei social sta diventando sempre più frammentato e complesso e di questo la moda deve tener conto: esistono, per esempio, piattaforme dedicate ai professionisti neri (Valence), agli artisti (Ello), agli appassionati di libri (Goodreads), per comunicare in modo più mirato ed efficiente. Perché se è vero che sta fiorendo l'era dei micropost, allo stesso tempo una bella immagine non è più sufficiente ad attrarre la curiosità e soprattutto coinvolgere un utente e potenziale cliente, come suggerisce il report Think Forward di We are social: «In un panorama digital ormai saturo, narrative più lunghe e più complesse possono essere più coinvolgenti, non solo perché invitano a leggere con più attenzione, ma anche perché possono incoraggiare l'interazione e la partecipazione. Words are back».
Mentre gli esperti di social del Forbes Communications Council suggeriscono un'altra strategia evoluta: contrastare il doomscrolling, termine che descrive l'impatto deprimente di un consumo eccessivo di cattive notizie, postando contenuti che siano non solo divertenti, ma anche empatici, veicolo di valori e promotori di benessere psico-fisico.
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