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Ethereum, è partito il conto alla rovescia per la “trasformazione”. Rischi e opportunità per i cripto-investitori

Il 15-16 settembre la blockchain della seconda criptovaluta per capitalizzazione “cambia pelle”. Ecco tutte le novità tecnologiche e quali scenari si aprono sul fronte finanziario

di Vito Lops

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6' di lettura

La data è ufficiale. Avverrà tra il 15 e il 16 settembre. Ci riferiamo allo storico passaggio con cui la blockchain di Ethereum cambia il meccanismo di validazione delle transazioni. Inizialmente era stato battezzato come Ethereum 2.0, sostituto poi dal nome merge. Poco cambia. Ciò che conta è che ormai manca poco e che i tre test preliminari (l’ultimo chiamato Goerli ultimo il 10 agosto) sono andati a buon fine offrendo buone sensazioni sull’ultima tappa, il passaggio definitivo sul network fra poco più di un mese.

Cambio di algoritmo

In cosa consiste questa grande novità? Cambia l’algoritmo di consenso per la validazione delle transazioni: si passa dal meccanismo proof of work (PoW) al proof of stake (PoS). Per semplificare, non ci saranno più i cosiddetti miners che con i loro super-computer risolvono complessi calcoli computazionali per autorizzare le transazioni (e garantire sicurezza al network). Al posto dei miners e della loro “fatica” (da cui il concetto di proof of work) ci saranno i validatori. Per essere validatori è “sufficiente” possedere almeno 32 Eth, il token nativo della blockchain Ethereum, o suoi multipli. E metterli in staking, cioè vincolarli per un periodo di tempo nella rete.

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Al di là dei tecnicismi, sopra semplificati ma comunque essenziali per comprendere l’importanza del passaggio, il sistema PoS presenta dei pro e dei contro, di cui è bene che chi investe nel mondo delle criptovalute abbia contezza. Tra i vantaggi ci sono una maggiore velocità delle transazioni (a fronte di un meccanismo di validazione più snello), un cambio della politica monetaria del network (che attualmente genera un’inflazione annua stimata intorno al 2,5% e che dopo il merge potrebbe diventare deflazionistico con punte di inflazione ipotizzate intorno al -4,5% annuo) e un minore consumo energetico (con un risparmio del 99% rispetto al PoW, il meccanismo utilizzato da Bitcoin che, nel momento in cui i miners utilizzano fonti carbon-fossili e non rinnovabili si espone alle critiche degli ambientalisti).

Quanto al primo punto, la velocità delle transazioni, è prevista una riduzione dagli attuali 13 secondi (necessari per autorizzare un blocco di transazioni che viene poi iscritto nel “registro” blockchain) a 12 secondi. Secondo un recente report di Citigroup si stima un aumento della velocità di circa il 10%. Il pezzo forte su questo fronte avverrà in realtà con un altro upgrade della rete (nome in codice surge, previsto per il 2023) che promette di moltiplicare la capacità della blockchain a 100.000 tps (transazioni per secondo). Ciò sarà possibile con lo sharding, un espendiente con cui la blockchain verrà “frammentata”, assegnando ad ogni frammento dei validatori, andando così a ridurre il carico computazionale delle operazioni, aumentando la velocità.

Minor consumo energetico

Passiamo ai punti che probabilmente interessano più gli investitori, ovvero il cambio di politica monetaria e il minor consumo energetico. Uno dei punti di forza di Bitcoin è il numero finito di unità che si possono emettere (21 milioni, ad oggi ne sono stati minati poco più di 19 milioni). Di qui il concetto di scarsità a cui segue potenzialmente (l’ultima parola è del mercato) quello di riserva di valore. La tokenomics di Ethereum (nome con cui viene identificata la politica monetaria di un progetto di criptovaluta) non prevede limiti all’emissione di Eth (il token indispensabile per effettuare transazioni all’interno del network). Tuttavia recentemente è stata apportata una modifica (l’aggiornamento “London”) che prevede la rimozione dal circolante di una parte degli Eth spesi in gas fees (le commissioni delle transazioni). Una modifica che ha ridotto il tasso di emissione e si stima abbia abbattuto l’inflazione annua della rete dal 4,5% al 2,5%. Più aumentano le transazioni più aumentano le gas fees e di conseguenza gli Eth bruciati. Questo spiega perché in certe fasi Ethereum già nel 2022 è risultato deflazionistico, ovvero la quantità di token emessi è risultata inferiore a quelli bruciati.

Con il merge le prospettive deflazionistiche - e quindi di potenziale riserva di valore - aumentano dato che con il sistema PoS è prevista una riduzione dell’emissione di token (che non sarà più agganciata al blocco delle transazioni ma dipenderà dal numero di validatori presenti nella rete). Considerando poi che l’aggiornamento London, come indicato, prevede al contempo una riduzione dell’offerta di moneta attraverso il meccanismo del burning (parte delle gas fees vengono bruciate) ecco spiegato lo scenario deflazionistico. C’è chi infatti, riferendosi al merge ha parlato di triple halving indicando che questo passaggio, per il network Ethereum, potrebbe valere l’equivalente di tre halving della blockchain Bitcoin.

Cosa è l’halving? È il dimezzamento, che avviene circa ogni quattro anni, delle commissioni che i miners di Bitcoin ricevono per ogni blocco autorizzato (ogni 10 minuti circa). Il pagamento delle commissioni è anche la modalità con cui vengono minati (creati) nuovi Bitcoin (le commissioni in sostanza vengono pagate creando nuovi Bitcoin). Di conseguenza l’halving per il Bitcoin non è altro che il dimezzamento, circa ogni quattro anni, dell’emissione di moneta. Fino al raggiungimento, stimato intorno al 2.140, della soglia limite dei 21 milioni. È il meccanismo, ad inflazione programmata e decrescente, che regola la politica monetaria di Bitcoin.

Veniamo al terzo vantaggio, una riduzione del consumo energetico del 99% rispetto al meccanismo PoW. Saranno contenti gli ambientalisti (anche se va ricordato che a tendere anche Bitcoin potrebbe essere ad “impatto 0” nel momento in cui tutti i miners vireranno su fonti rinnovabili) ma anche gli investitori. Perché molti fondi di investimento sono (e in futuro lo saranno sempre più) chiamati a rispettare criteri Esg (environmental social governance). Dopo il merg” di settembre tecnicamente Ethereum - di cui al pari di Bitcoin sono quotati anche contratti future sul mercato Cme delle materie prime - sarà più green e quindi compliance con i critersi Esg. Non è matematico, ma questo aspetto potrebbe attirare l’interesse di alcuni fondi di investimento che magari oggi, per lo stesso motivo, si tengono alla larga da Bitcoin (nell’attesa che faccia progressi in chiave green).

Riepilogando. Con la nuova veste in versione PoS, Ethereum diventa leggermente più veloce, molto più scarso e molto più green. Tre vantaggi in un colpo solo. Passiamo ora ai rischi.

Il più grande rischio

Il più grande rischio è che qualcosa vada storto dal punto di vista tecnologico. Ovvero che la rete si blocchi (anche per qualche secondo) nel momento in cui la blockchain virerà al sistema PoS. Finora il più elevato standing di Ethereum rispetto ad altre blockchain (come Solana, Avalanche, ecc.) è stato garantito proprio dalla solidità del network (per fare un esempio la rete Solana nel 2022 si è bloccata, a causa di bug, otto volte) e dalla sicurezza. Per non correre questo rischio molti investitori istituzionali (le cosiddette “balene” del mercato) hanno preferito chiudere la loro posizione in Eth, pronti eventualmente a rientrare nel caso il merge vada a buon fine. Questa fuoriuscita (documentata dall’analisi delle transazioni all’interno della blockchain) può essere stata una delle cause che ha innescato la capitolazione del settore tra metà maggio e metà giugno quando il prezzo di mercato di Eth è sceso fino a 880 dollari. Negli ultimi due mesi il recupero dei titoli tecnologici del Nasdaq - a cui le crypto in questa fase storica sono fortemente correlate - ha ridato linfa al settore e da allora la quotazione di Eth è più che raddoppiata sfiorando nuovamente i 2.000 dollari. Il recupero di Eth è stato più marcato rispetto a quello di Bitcoin e questo, probabilmente, anche perché nel frattempo i tre test condotti in vista del merge sono andati a buon fine. Di conseguenza è cresciuto l’ottimismo sul buon esito dell’operazione finale prevista per metà settembre, anche se va ribadito che i rischi che qualcosa possa andare storto lato tecnologico non si sono azzerati.

Il secondo rischio, probabilmente di minore entità, è la proposta di fork (di scissione della rete) da parte di coloro che preferiscono che Eth continui a funzionare con l’attuale algoritmo di consenso basato sulla PoW e quindi sul mining. I fork non sono una novità nel mondo crypto (in questo momento esiste in parallelo la vecchia rete Ethereum Classic, di cui Ethereum stesso è stato un fork). Al di là del fork (tecnologicamente fattibile) il valore intrinseco di un network è poi dato dal suo utilizzo e dagli ecosistemi che vi vengono costruiti. Quindi è presto per sapere se e quale valore il mercato deciderà di attribuire a un eventuale ETHW (così potrebbe chiamarsi il token nel network che continuerebbe a girare con la proof of work). In ogni caso è bene che un investitore tenga conto anche di questo fattore che, inizialmente, potrebbe creare confusione e magari volatilità anche sul prezzo di Eth.

Ultimo ma non meno importante, il rischio di centralizzazione della rete. Un newtork il cui consenso è basato sui validatori e non sul mining è sulla carta meno decentralizzato, un rischio che lo espone a modifiche nel tempo (alla tokenomics e quant’altro) che potrebbero cogliere alla sprovvista gli investitori. Un rischio che si attenua in presenza di blockchain con un elevato numero di validatori (strada che sta percorrendo Ethereum) ma certo non si azzera. E questa è un’altra grande differenza con Bitcoin il cui network, tecnologicamente parlando, a tendere è di natura distribuita. Meccanismo che, in termini di sicurezza, lo rende più potente rispetto a un network decentralizzato. Per lo stesso motivo Bitcoin resterà per sempre in regime di proof of work.

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