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Etica, impresa e rivoluzione digitale

Negli ultimi anni, l’urgenza di una riflessione ulteriore su etica e impresa parte anche dal presupposto che il mondo del business sia stato profondamente cambiato non solo dall’imperativo della sostenibilità ma anche dalla rivoluzione digitale

di Sebastiano Maffettone

(AFP)

4' di lettura

Da venerdì 6 ottobre a domenica 8 ottobre si terrà – presso la sede dell’Auditorium Parco della musica di Roma – il Festival di Etica Pubblica ideato da Ethos in collaborazione con Auditorium.

Ethos è l’Osservatorio Luiss Business School da me fondato e diretto, il cui scopo precipuo è quello di fare ricerca sui vari aspetti dell’etica pubblica.

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Il titolo del Festival è “Be New, Be Now”, ma è il sottotitolo, “Etica e impresa” a rivelare l’autentico tema che sarà al centro dei lavori. Su questo tema, Ethos ha lavorato per un anno in partnership con una decina di imprese di primo interesse nazionale e internazionale.

Ha gestito con loro il progetto Festival, a cominciare da una serie di seminari in cui i vertici apicali delle imprese partner presentavano la loro visione dell’etica e della sostenibilità, ha registrato una serie di podcast nella forma di interviste ai protagonisti dei seminari tenute dalla dottoressa Dacrema (membro Ethos), ha organizzato per merito di Valentina Gentile (membro Ethos) un convegno di studi con Wharton School dell’Università di Filadelfia (ritenuta la prima del mondo su questi issues).

Ora, dopo questo lungo iter, si arriva in dirittura d’arrivo nella tre giorni di ottobre in cui una cinquantina di relatori, divisi fra rappresentanti di imprese, professori, studenti di Ethos Young, giornalisti, intellettuali di fama italiani e stranieri parleranno di etica, impresa, sostenibilità.

Etica degli affari

Temi e problemi della business ethics (la traduzione italiana “etica degli affari” non rende bene il significato dell’espressione) sono –come è naturale – legati al periodo storico in cui li si vive.

Limitandosi alla breve storia italiana, e in genere occidentale, si può dire che le sue origini si possono rintracciare nel turbolento periodo che precedette e seguì il cosiddetto “Sessantotto”. In quel periodo, dapprima il capitalismo fu messo sotto accusa in maniera radicale, per poi rendersi conto che la sua resilienza e la mancanza di alternative praticabili lo rendevano non sostituibile.

Di conseguenza, con gli anni la business ethics diventò un modo per distinguere tra un capitalismo “decente” e uno “deprecabile”. Là dove il capitalismo decente era quello che rende l’impresa socialmente responsabile del suo comportamento e – più in generale – corrisponde a un sistema economico che tende a distribuire in maniera equa benessere e ricchezza.

Stakeholder analysis

In questa ottica, il contributo teorico più importante della business ethics è costituito probabilmente dalla creazione – nella prima metà degli anni Settanta, negli Stati Uniti – del paradigma della stakeholder analysis (tra l’altro nata a Wharton, la business school con cui quest’anno Ethos si è confrontata).

La stakeholder analysis decostruisce la teoria classica dell’impresa come “gerarchia” a leadership proprietaria – in mano agli shareholders – per ricostruire la teoria dell’impresa come una sorta di contratto tra i portatori di tutti gli interessi toccati dall’impresa stessa nel suo funzionamento dallo staff ai clienti, dalla pubblica amministrazione alla comunità che ospita le imprese e l’ambiente naturale stesso.

Non è difficile comprendere che, in questo modo, l’impresa stessa diveniva un’istituzione più coerente con gli ideali di un capitalismo democratico.

La business ethics in Italia nacque timidamente nella seconda metà degli anni 1970. Spesso accompagnata da un robusto scetticismo, tipico di un Paese in cui i grandi partiti di massa e l’opinione pubblica spesso non ne condividevano lo spirito liberale e progressista che le era sotteso. Un Paese in cui l’imprenditore stesso era sovente confuso con chi profitta arbitrariamente degli altri.

Environmental, Social, and Governance

Oggi come oggi, però, temi come quelli di business ethics, sostenibilità e responsabilità sociale di impresa sembrano rappresentare più la regola che l’eccezione nel mondo internazionale del lavoro, della produzione e della finanza. Cifre da capogiro sono gestite da fondi di investimento che pretendono di misurare il lavoro delle imprese in termini di prestazioni Esg, l’acronimo per Environmental, Social, and Governance.

Che poi vuol dire sostenibilità sociale più rispetto per l’ambiente più governance equanime più immaginazione nella filantropia. Questo fatto, in quanto tale non controverso, non esclude dubbi. Da destra, il perbenismo della sostenibilità generale viene visto come l’ennesimo rampollo di quella cultura politically correct che i benpensanti liberal vorrebbero imporre.

Da sinistra, invece, spesso e volentieri si ritiene che la sostenibilità sarebbe cosa fantastica, ma solo se presa sul serio e non resa obbligatoria dai fondi. Per cui, gran parte della sostenibilità attualmente all’opera rischia di essere più che altro facciata, una spolverata di buona volontà o – come si dice – mero greenwashing.

Rivoluzione digitale

Negli ultimi anni, l’urgenza di una riflessione ulteriore su etica e impresa parte anche dal presupposto che il mondo del business sia stato profondamente cambiato non solo dall’imperativo della sostenibilità ma anche dalla rivoluzione digitale. Sarebbe a dire dall’impatto sempre più pervasivo che la digitalizzazione ha rappresentato per la sfera della produzione.

Siamo dunque obbligati a confrontarci con una duplice trasformazione (la cosiddetta “twin transition”) che riguarda da un lato la sostenibilità e dall’altro il digitale (tema quest’ultimo che è stato al centro del Festival di Ethos del 2022). La digitalizzazione, come sappiamo tutti, ha trasformato il mondo in cui viviamo. Ma, così facendo, ha anche cambiato gli atteggiamenti prevalenti e i bisogni rilevanti. Nelle imprese, sono cambiati gli spazi, che – con gli anni – diventano più piccoli e più tecnologici.

Per le persone, è mutata la concezione del tempo: sempre più i lavoratori vogliono dividere le loro giornate tra tempo di lavoro e tempo a casa in maniera diversa da prima.

Più di ogni altra cosa, una ricerca seria sulla sostenibilità generale deve entrare nel merito di un problema fondamentale. La sostenibilità generale è un modo per fare quotare l’impresa meglio sul mercato, oppure invece esprime un cambiamento profondo di attitudini che, in nome di risultati che giovano alla comunità, può condurre persino a esiti che danneggiano gli azionisti?

Problema questo che mette in evidenza il delicato rapporto tra sostenibilità generale e etica. Questo problema, nelle sue diverse declinazioni, sarà al centro del Festival di Ethos 2023 nell’attesa che nel prossimo futuro possa diventare da questione filosofica pratica vissuta.

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