Étienne Chambaud e la santificazione della corporeità
L'artista francese propone una rivisitazione contemporanea della tradizione delle icone ortodosse
di Luca Siniscalco
I punti chiave
2' di lettura
Come affrontare, con consapevolezza e metodo, la visita di una fiera d'arte internazionale? Me lo sono chiesto in occasione di Miart 2023, 27° edizione della più prestigiosa fiera di arte moderna e contemporanea di ambientazione meneghina.
Similmente all'ordine di una libreria – su cui il demiurgo Roberto Calasso ha scritto pagine mirabili nel suo “Come ordinare una biblioteca” (Adelphi, 2020) – anche l'approccio ad una esposizione estesa e articolata come Miart impone delle scelte – stili di visita, sistematici o istintivi, orientamenti “enciclopedici” o “rizomatici”, che molto dicono della forma mentis del visitatore.
La biblioteca borgesiana
Per quanto l'organizzazione si sia generosamente prodigata nel disporre gli stand delle gallerie secondo una numerazione ordinata e “mappabile”, è forse preferibile considerare i numeri di tale disposizione cabalisticamente, o tuttalpiù a mo' di rune, provando a perdersi nella varietà delle proposte artistiche come in un labirinto, o in una biblioteca se ci affidiamo alla celeberrima metafora borgesiana. Lavorando per analogie, associazioni e intuizioni, si elabora una cartografia “sottile” delle opere esposte. La meraviglia si sostituisce alla catalogazione, l'intensità alla numerazione.
Étienne Chambaud
Da questa angolatura eccentrica, a colpirmi, fra le eterogenee opere esposte, sono gli sguardi penetranti che promanano dalla serie “Uncreatures” (2021-2023), dell'artista francese Étienne Chambaud. Classe 1980, Chambaud è un artista colto e dallo sguardo internazionale. La sua produzione ha spaziato per tematiche, tecniche e stili lungo un concettualismo multimediale incentrato su questioni d'attualità, come l'ecologia e le sfide scientifiche. Nella serie menzionata, Chambaud propone una rivisitazione contemporanea della tradizione delle icone ortodosse: l'artista recupera icone storiche e vi interviene, ricoprendo le figure sante con foglie dorate. Le tavole lignee diventano campiture dorate. Con l'eccezione di alcune componenti simboliche dei corpi rappresentati: occhi, braccia e mani che si orientano verso lo spettatore, dialogando con la sua vista. Ne emergono immagini che sono sguardi di pace, inviti alla realizzazione interiore, forme di simbolizzazione dell'esperienza vitale nell'epoca del presentismo tecnologico e virtualizzato. Tradizionalmente, le icone sono caratterizzate dallo sfondo dorato, simbolo della spazialità trascendente a cui appartengono i personaggi sacri. La scelta di Chambaud di invertire l'utilizzo dell'oro, ricoprendo direttamente i corpi, può suggerire diverse letture: una santificazione della corporeità – e, quindi di una spiritualità immanente? Una ricerca di nuovi patterns per rimitizzare l'arte contemporanea? Una dialettica performativa in relazione all'arte del passato? Quel che è certo è che gli sguardi di queste “non creature” – figure effettivamente increate, giacché le icone, come insegna Pavel Florenskij, sono tutte simbolizzazioni dell'immagine santa prototipica, non creata da mano umana – alludono al mistero e conducono lo spettatore in una dimensione di interrogazione e spaesamento di cui il nostro tempo, colmo di certezze demenziali e nuovi dogmi, ha estrema urgenza.
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