Europa e Giappone, locomotive fragili
di Domenico Lombardi
2' di lettura
A qualche giorno dall’ultimo aggiornamento previsionale rilasciato dal Fondo monetario internazionale è opportuno fare il punto sulle prospettive dell’economia mondiale, integrandole in un contesto più ampio.
Gli ultimi dati divulgati dall’istituzione di Washington non presentano, nell’aggregato, variazioni rispetto al precedente esercizio previsionale dello scorso aprile, ma sono significativi nella misura in cui riflettono il crescente rafforzamento della congiuntura mondiale. L’economia mondiale crescerà del 3,5% nell’anno in corso e di poco di più il prossimo: tassi di espansione mai osservati, in aggregato, negli anni più recenti.
Messi in prospettiva, mostrano un riequilibrio nelle spinte propulsive all’economia mondiale a favore dell’Eurozona e del Giappone, contenendo le aspettative precedenti, ora riconosciute come eccessivamente ottimistiche, sugli effetti espansivi delle politiche dell’amministrazione Trump. Le prospettive di crescita per l’economia americana vengono ridimensionate a poco più del 2% l’anno: come dire, l’economia crescerà appena sopra il suo tasso potenziale, ma significativamente al di sotto di quella soglia del 3% che l’amministrazione di Washington ha indicato come obiettivo e su cui le varibili di intervento della politica fiscale – come il deficit di bilancio – vengono calcolate.
Dal punto di vista interno, se questi tassi di espansione dovessero persistere, si riducono ulteriormente gli spazi per riequilibrare quegli aspetti preoccupanti emersi con tutta la loro forza nell’elezione di Trump alla Casa Bianca: assottigliamento della classe media, stagnazione pluridecennale dei redditi per i ceti medio bassi, e crescente precarietà nelle condizioni socio-economiche di una parte sempre maggiore della società americana. Le politiche necessarie per contrastare questo trend, vale a dire riforme strutturali per aumentare la produttività e la partecipazione della popolazione alle forze di lavoro, sono proprio quelle assenti nell’agenda dell’attuale amministrazione.
Da una prospettiva internazionale, il ridimensionamento nella leadership politica degli Stati Uniti osservato, per esempio, al vertice G7 di Taormina nel maggio scorso e del G20 di Amburgo in luglio, si estende ora alla capacità di sospingere l’economia mondiale, che pure si ridimensiona. È come se la multipolarità nella governance mondiale si estenda anche alle fonti di crescita della sua economia.
Eppure, proprio come nella governance mondiale, la multipolarità nelle fonti di crescita dell’economia mondiale rappresenta paradossalmente un elemento di fragilità, non di forza. L’Eurozona e il Giappone sono economie particolarmente vulnerabili a prossimi shock e con un tasso potenziale di espansione inferiore a quello dell’economia americana. Anche la Cina, le cui prospettive risultano lievemente migliorate nell’ultimo esercizio previsionale, beneficia delle politiche espansive messe in moto con decisione dalle autorità di Pechino, ma tutti i nodi strutturali rimangono irrisolti, a partire dalla fragilità del suo sistema finanziario.
Si tratta, pertanto, di un miglioramento delle prospettive congiunturali dell’economia mondiale, sempre utile ma solo per il breve termine. Infatti, gli aspetti problematici che hanno segnato la sua lenta ripresa negli ultimi anni rimangono fondamentalmente irrisolti.
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