Europa oltre il coronavirus tra pregiudizi banali e soluzioni intelligenti
Martedì si terrà un’importante riunione dei ministri finanziari dell’Eurozona. C’è una terza strada tra la difesa del mondo reale e l’aspettativa di un mondo ideale?
di Sergio Fabbrini
4' di lettura
La politica consiste nella «mobilitazione dei pregiudizi», scrisse Elmer Eric Schattschneider nel 1960. I pregiudizi mobilitati sono ancora più radicati quando il confronto politico è tra Stati, piuttosto che tra gruppi sociali o organizzazioni di interesse dello stesso Stato. Ciò che sta avvenendo in questi giorni, relativamente alla risposta europea alla pandemia, è una conferma drammatica della potenza paralizzante dei pregiudizi.
Il principale dei pregiudizi
Il principale dei quali è il seguente: gli Stati del Sud (come l’Italia) vogliono usare il Covid-19 per farsi finanziare (attraverso gli Eurobond) il loro debito pubblico. Una stupidaggine. Nessun leader politico italiano o di altri Paesi del Sud ha mai avanzato una proposta del genere. Martedì si terrà un’importante riunione dei ministri finanziari dell’Eurozona. C’è da sperare che la discussione non sia vincolata da simili pregiudizi. Piuttosto, per affrontare la pandemia, c’è una terza strada tra la difesa del mondo reale e l’aspettativa di un mondo ideale?
La difesa del mondo reale
Cominciamo dal mondo reale. I leader politici del Nord ritengono che i Paesi più colpiti dal Covid-19 (tra cui il nostro) dovrebbero utilizzare l’aiuto del Fondo salva-stati (il Meccanismo europeo di stabilità o Mes). Dopo tutto, aggiungono, visto che il Mes esiste già, con la sua dotazione finanziaria (410 miliardi di euro circa), perché non utilizzarlo? Superiamo la crisi, poi si vedrà.
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Tre volte sbagliato. È sbagliato perché le cose si cambiano nelle crisi, non dopo le crisi. Dopo le crisi non c’è più la pressione per cambiarle. Basti considerare i propositi dei Rapporti approvati durante le varie crisi multiple dello scorso decennio, come il Rapporto dei 4 Presidenti (2012), dei 5 Presidenti (2015) oppure il Libro bianco della Commissione europea sul futuro dell’Europa (2017). Superata l’emergenza, la parte più ambiziosa di quei propositi è stata dimenticata. È sbagliato perché il Mes è stato pensato per affrontare crisi finanziarie che colpiscono singoli Stati, generalmente dovute alla cattiva gestione delle loro finanze pubbliche. È sbagliato perché il Mes è uno strumento esterno al sistema dell’Ue, essendo il risultato di un accordo internazionale tra i suoi stati firmatari. Fu istituito (nel 2012) per prendere il posto di un altro strumento finanziario per l’aiuto agli Stati, il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Mesf del 2010), che era invece interno al sistema legale dell’Ue. Non era affatto necessario, allora, dare vita a uno strumento intergovernativo come il Mes. Venne istituito per ridurre il ruolo della Commissione, per esonerare il Parlamento europeo, per magnificare il potere decisionale e di veto di alcuni grandi Paesi (e dei loro parlamenti). Al suo interno, infatti, le decisioni vengono prese all’unanimità, salvo in casi di emergenza (maggioranza dell’85% delle quote di capitale). La Germania ne possiede quasi il 27%, la Francia poco più del 20 e l’Italia poco meno del 18%. Dunque, le decisioni del Mes saranno di fatto condizionate dalle volontà politiche della camera bassa del Paese che contribuisce di più. Perché il Bundestag, che è certamente un parlamento democratico, dovrebbe condizionare scelte che riguardano l’Europa intera (e non solo la Germania)?
L’aspettativa del mondo ideale
Vediamo il mondo ideale. Fa parte, di questo mondo, la proposta appena avanzata dalla Commissione europea di istituire uno strumento per contrastare la disoccupazione, nei singoli Stati, dovuta alla diffusione della pandemia (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency, Sure)? Certamente, il Sure è migliorativo rispetto al Mes, ma non è uno strumento finanziario ideale. Esso si basa sul modello del Mesf del 2010, in quanto è istituito attraverso un regolamento del Consiglio, che consente alla Commissione di emettere titoli di debito pubblico (garantiti dal budget dell’Ue e degli Stati membri, Premessa, Punto 9) con cui raccogliere fondi per i Paesi che ne hanno bisogno. Tuttavia, i fondi trasferiti agli stati sono prestiti (indebitamento) che peseranno sul loro futuro bilancio pubblico, fino a quando non saranno restituiti. Così condizionando, per essere chiari, le risorse che quegli stati potranno utilizzare nella fase della ricostruzione post-pandemia. Il vantaggio, rispetto a titoli di debito italiano, è che il loro tasso d’interesse sarà più basso, poiché la Commissione può beneficiare di un buon rating nei mercati finanziari («tripla A»). Anche nel Sure, il Parlamento europeo non ha voce, tutto viene deciso attraverso la negoziazione tra la Commissione, lo Stato richiedente aiuto e il Consiglio (che rappresenta i ministri dei governi nazionali). Anche le altre unioni di stati divenute federali (come gli Usa e la Svizzera) forniscono aiuti ai loro stati federati (oltre che ai loro cittadini) sotto forma di prestiti (loans). Come tutti prestiti, anche questi debbono essere restituiti (seppure a condizioni vantaggiose e con scadenze prolungate).
Tuttavia, in queste unioni federali, non si risponde all’emergenza con prestiti, ma con sovvenzioni (grants-in-aid) finanziate dalla fiscalità federale. Il programma approvato il 20 marzo scorso, il Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security (Cares, di 2 trilioni di dollari), per neutralizzare le conseguenze economiche del Covid-19, è un esempio di risposta federale a un problema comune. Così come lo fu il programma federale del 2009, l’American Recovery and Investment Act (Arra, di 831 miliardi di dollari) per rispondere alla crisi finanziaria di allora. L’Arra consentì agli Usa di riprendersi in poco tempo, mentre l’Ue intergovernativa rispose alla crisi dell’euro «troppo tardi e troppo poco», con effetti che ancora paghiamo. Vogliamo ripetere quell’esperienza?
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Le mediazioni necessarie
Insomma, il mondo reale non è praticabile. Certamente il mondo ideale, con il riconoscimento di una capacità fiscale dell’Ue, non è dietro l’angolo. Martedì e dopo, mediazioni dovranno essere trovate. Tuttavia, esse dovranno ridurre il cappio intergovernativo. Le unioni di Stati e di cittadini non si fanno per amore, ma per necessità. Gli Stati condividono pezzi di sovranità per affrontare sfide che non possono affrontare da soli. Le sfide specifiche, invece, dovranno gestirsele da soli. Siamo di fronte a un passaggio storico. Sostituiamo la banalità dei pregiudizi con l’intelligenza dei problemi.
Per approfondire:
● La strategia per il futuro nei giorni più difficili
● Le scelte dell'Italia in una Europa sovranazionale
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