Europa, perché si fanno pochi figli e tardi?
Il rischio oggi per i governi e la società è di non arrivare a costruire modelli sostenibili che permettano una scelta cosciente (e non obbligata)
di Maria Paola Mosca
I punti chiave
5' di lettura
In Europa si diventa madri sempre più tardi. Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2021 l'età media delle primipare è di 29,7 anni. Si va dagli oltre 30 anni registrati in Italia e Spagna (31,6), Lussemburgo (31,3) e Irlanda (31,2), ai livelli soprattutto dei Paesi dell'Europa orientale, dove le donne hanno il primo figlio un po' prima, con la Bulgaria a registrare la media inferiore (26,5 anni). Questa tendenza è in crescita continua dal 2013, quando la media era 28,8 anni.
Fertilità sotto la soglia della decrescita
Va in direzione opposta invece la linea che riporta il numero di figli delle europee. Seppure il tasso di fertilità medio nell'Unione è leggermente salito nel 2021 rispetto all'anno precedente (da 1,5 a 1,53 figli per donna), resta ancora sotto il livello massimo degli ultimi 20 anni registrato nel 2016 (1,57). Nessuno degli stati membri della UE, inoltre, arriva o si avvicina alla soglia di 2,1 considerata il limite per evitare la decrescita della popolazione (non includendo le variazioni dovute all'immigrazione che in realtà stanno permettendo una crescita in alcune aree del continente). La forbice spazia da 1,13 figli per donna di Malta, alla media francese, all'estremo opposto, di 1,84.
Non è solo l'Europa vivere un'epoca in cui si fanno meno bambini e sempre più tardi. Dalla Cina (1,15 figli per madre) agli Stati Uniti (circa 1,64), il calo è continuo e diffuso. Con una popolazione che non decresce ma invecchia, molti governi dell'Unione stanno cercando di affrontare la situazione introducendo politiche nuove, più generose o estese.
“It's all about the money”
È soprattutto il tema economico a trattenere le (giovani) donne dal diventare madri. Indubbio come l'incertezza finanziaria di un mercato occupazionale evidentemente penalizzante sia tra i primi fattori frenanti. Anche prima di considerare la maternità, quando iniziano a lavorare, pur con livelli di istruzione alti, si confrontano con discriminazioni di genere in tema di stipendi, opportunità e accesso alle posizioni.
Subiscono poi ben presto gli effetti della “motherhood penalty” che sbarra le carriere e costringe moltissime a uscire parzialmente o totalmente dal mondo del lavoro. Al contrario, grazie al “fatherhood premium”, invece molti neo-padri ricevono migliori opportunità, stipendi e responsabilità lavorative proprio per il fatto di essere diventati genitori.
A conferma di come il tema soldi sia centrale nella scelta di se e quando procreare, un recente sondaggio sulle giovani inglesi riporta che per quasi il 60% sono le preoccupazioni finanziaria il motivo principale per ritardare la maternità - dall'aumento del costo della vita al il timore di non potersi permettere l'acquisto di una casa e le spese di cura per l'infanzia. Il tipo di intervento più comune adottato dai diversi governi europei per incentivare la natalità, è altrettanto di natura economica, spesso erogata sotto forma di “baby bonus” – più o meno di successo.
Succede in Finlandia, nota per i contributi generosi offerti ai neo-genitori. Qui, ha fatto notizia la piccolissima municipalità di Lestjärvi che nel tentativo disperato di alzare il numero di abitanti per 10 anni dal 2012 garantiva 10mila euro a neonato. L'iniziativa si è conclusa nel 2022 dato che molti, una volta incassato il contributo, si trasferivano altrove.
Anche la Grecia dal 2020 opta per un incentivo monetario: a ogni neo-mamma legalmente residente vengono offerti 2.000 euro per figlio. Da inizio 2023 il governo spagnolo ha introdotto, tra altre misure, un contributo di 100 euro mensili per bambino fino a tre anni, che dovrebbe aiutare a coprire le spese essenziali (pannolini o latte artificiale) e i costi di cura. In Ungheria esistono un'indennità per la cura dell'infanzia e un bonus nascita. Qui, inoltre, le donne con 3 o più figli non pagano (virtualmente) tasse.
Ai confini della UE, ma restando in Europa, il governo del Regno Unito, per migliorare i dati dalla partecipazione delle donne al lavoro, ha recentemente accolto un programma, che allarga l'offerta di 30 ore di cura gratuita ai genitori lavoratori a partire dai 9 mesi di età dei figli. Per quanto si parta dal prossimo anno, il programma entrerà a pieno regime solo nel 2025.
“Girls just want to have fun”
La questione soldi, seppure primaria, non spiega completamente le tendenze in atto che vedono le europee fare sempre meno figli e in età più avanzata. Tra tutti, è emblematico il caso della Svezia. Dopo il calo registrato nel 2020, la nazione è l'unica tra i Paesi nordici a non aver conosciuto la, seppur minima, ripresa del tasso di fertilità che ha invece contrassegnato tutta la regione – comunque ancora sotto i livelli anche solo di 10 anni fa.
A questa si affianca l'inclinazione delle svedesi ad avere il primo figlio molto tardi: secondo gli ultimi dati, nel 2022, sono nati 537 bambini da mamme sopra i 45 anni e 410 da giovani sotto i 19.
Le nuove generazioni di ragazze vogliono dedicare più tempo agli studi, a lavorare e, al contempo, godersi altro prima di (e se) fare figli. Non è certo solo il caso della Svezia, qui però gli scenari mostrerebbero come la denatalità non sarebbe legata tanto e solo a cause di natura socio-economica - visto che, come nel resto del nord Europa le politiche continuano a facilitare la genitorialità. Ma proprio di stile di vita.
Il ritardato “ingresso all'età adulta”, legato a percorsi scolastiche più lunghi rispetto al passato, al desiderio di lavorare e dedicarsi ai propri interessi personali, è accompagnato da un maggiore accesso alla contraccezione e ai servizi per la riproduzione e la maternità di qualità che di fatto hanno alzato il limite biologico.
Le donne sono cambiate
È chiaro ai più quanto le donne sono cambiate negli ultimi 50 anni. Al contempo, seppure timidamente e a macchia di leopardo, i padri sono più coinvolti e partecipi delle necessità di di cura infantile. Il gap da colmare però è molto ampio e, oltre a continuare a spendere più ore in attività non retribuite di cura casalinga rispetto ai partner o mariti, le donne restano molto esposte al rischio di perdere opportunità se diventano madri.
Rimane molto da fare anche già nel capire le diverse sfumature e rispondere alle diverse necessità. Tante scelgono di non avere figli, per esempio, anche per considerazioni ambientali o le preoccupazioni legate alla crisi climatica, più che per le difficoltà economiche che questo comporta. Il rischio oggi per i governi e la società è di non arrivare a costruire modelli sostenibili che permettano una scelta cosciente (e non obbligata) in grado di gestire o contrastare le proiezioni per il 2100 di una popolazione europea ridotta di oltre 27 milioni di persone.
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