Ex centrali atomiche smantellamento più caro
di Jacopo Giliberto
4' di lettura
Costerà 7,2 miliardi di euro al 2035, cioè 400 milioni in più rispetto ai 6,8 miliardi previsti, il piano italiano per smantellare le quattro vecchie centrali atomiche spente trent’anni fa e per liberarci dell’ansia delle scorie. Il rincaro della spesa atomica italiana è stato previsto a Vienna durante l’assemblea generale dell’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica (Aiea).
A fianco di temi quali la minaccia nucleare della Corea del Nord oppure il ruolo dell’Iran, la comunità atomica internazionale ha anche esaminato il programma italiano, ma con una finalità diversa rispetto alle minacce internazionali: l’Italia, attraverso la Sogin, la spa pubblica dell’uscita dal nucleare, è il primo Paese al mondo che porta a casa un programma di smantellamento atomico “vita intera”, ed è un programma sul quale l’Italia ha potuto modellarsi per decenni in prove, tentativi, successi ed errori. Un caso di scuola da prendere a esempio, dice l’Aiea.
È il modello per capire dove non devono gonfiarsi i costi (il sistema degli appalti) e dove non devono dilatarsi i tempi (le autorizzazioni). È la scuola per studiare come smontare un reattore spendendo cento milioni. Italiani primi e bravissimi a patto che sappiano darsi due strumenti, ammonisce l’agenzia dell’Onu. Primo, serve un’autorità indipendente per la sicurezza nucleare. Già delineata, la neonata Isin guidata da Maurizio Pernice non è ancora attiva e non ha ancora potuto rilevare il manipolo di esperti dipendenti dall’istituto Ispra e quindi non ha ancora potuto sbloccare l’arretrato di pratiche accumulate. Secondo e più spinoso strumento: un deposito sicuro per le scorie, oggi disperse in una ventina di piccoli depositi ingombri di rifiuti radioattivi dal Piemonte alla Sicilia e in decine e decine di microdepositi occasionali come grandi ospedali (i residui della medicina nucleare) e impianti industriali.
La sensibilità di sardi e lucani
Argomento caldissimo, la collocazione del deposito nazionale. L’altra settimana si è chiusa la consultazione pubblica dei cittadini voluta dal Governo per il piano di smantellamento presentato dalla Sogin. Le risposte dei cittadini sono state decine fra pareri interessanti, suggerimenti da tenere in conto, commenti ricchi di competenza ma anche una sequenza ripetitiva di messaggi elementari ed emotivi contro la collocazione del deposito vicino a casa. Dovunque ma non qui, dicono molti commenti spaventati. Dalla Sardegna e dalla Basilicata sono arrivati i messaggi più ripetitivi dei complottòlogi irriducibili che sospettano una decisione già presa in segreto alle loro spalle.
Un centinaio di luoghi
Pronta da un paio d’anni, è ancora tenuta segreta dal Governo la mappa dei luoghi tecnicamente idonei a ospitare il deposito nazionale disegnata dalla Sogin sulla base dei criteri dell’Aiea. Si chiama Cnapi. Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è l’ennesimo ministro che ne ha annunciato il prossimo svelamento (nel caso di Calenda, l’impegno è per fine anno). È tenuta segreta per evitare che possa montare la protesta nimby nel centinaio di luoghi idonei a ospitare il centro nucleare. I criteri di scelta dati dall’Aiea sono una quindicina, come bassa sismicità, basso rischio di allagamento, bassa densità di abitanti.
Attacco ai reattori
L’Aiea ha approvato il piano messo a punto dalla Sogin – la società statale di smantellamento delle quattro centrali e di gestione delle scorie – in un anno dalla nomina del nuovo vertice. L’amministratore delegato Luca Desiata e il consiglio d’amministrazione guidato dal presidente Marco Ricotti hanno fatto il punto del lavoro dei loro predecessori a partire da quel novembre 1987 quando gli italiani ancora scossi dal dramma di Cernòbyl votarono nomall’energia atomica. «Abbiamo raccolto l’esperienza per evitare gli errori e gli orrori del passato, ma soprattutto per valorizzare i molti successi», osserva l’amministratore delegato Desiata.
Il cuore dell’attività sarà smantellare i due reattori più vecchi, cioè i vessel delle centrali di Garigliano (Caserta) e Trino (Vercelli). Stima di costo, 100 milioni l’uno. Tempo, 9 anni. I reattori verranno sommersi in acqua e smantellati da robot telecomandati: «Sarà una tecnologia da vendere a chi nel mondo dovrà smontare centrali», osserva Desiata.
Primi grandi lavori
Nei prossimi mesi sarà avviato lo smantellamento del generatore di vapore della centrale di Latina e la copertura della sala macchine della centrale di Trino. Difficile da chiudere invece la partita dei 250 metri cubi di residui liquidi ad alta radioattività conservati nel deposito di Saluggia (Vercelli). Uno smantellamento vicino è la Fabbricazioni Nucelari di Bosco Marengo (Alessandria).
Mercato internazionale
Già oggi la Sogin, con un’esperienza unica al mondo nell’analisi e nella gestione dello smantellamento, è chiamata in mezzo mondo per insegnare come gestire il processo. In un mondo che per decenni ha gestito le scorie semplicemente dimenticandole, la Sogin sta gestendo con la Bers i terrificanti relitti della flotta nucleare sovietica nella baia di Andreeva oppure la centrale slovacca di Bohunice. «Con lo smantellamento dei reattori tramite robot l’Italia potrà acquisire anche competenze tecnologiche uniche da vendere su un mercato europeo che nei prossimi 10 anni si annuncia sui 200 miliardi - avverte Desiata - ma già oggi siamo i primi nello studio economico dei costi reali dell’uscita dal nucleare».
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