ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùI nodi dell'acciaio

Ex Ilva, riprende la battaglia legale, chiesta revoca confisca degli impianti

L'amministrazione straordinaria si prepara al processo di appello. La coincidenza col decreto legge che reintroduce lo scudo penale

di Domenico Palmiotti

(ANSA)

4' di lettura

Revoca della confisca degli impianti siderurgici di Taranto con «restituzione effettiva e non potenziale» a Ilva in amministrazione straordinaria, la società proprietaria che gli ha dati in fitto ad Acciaierie d'Italia. È la richiesta che gli avvocati della società (Angelo Loreto e Filippo Dinacci) hanno fatto alla Corte d'Appello con l'impugnazione della sentenza di primo grado. Il tutto in vista del nuovo processo sul reato di disastro ambientale contestato alla vecchia gestione Riva, uscita di scena a metà 2013 col commissariamento del gruppo deciso dal Governo.

Per gli avvocati, «nel corso degli anni successivi al sequestro, gli esiti delle indagini ambientali e delle attività ispettive condotte dagli enti pubblici di controllo hanno escluso superamenti dei limiti emissivi fissati dalla cornice normativa di settore; univoci in tal senso gli esiti delle indagini sulla qualità dell'aria. In buona sostanza, non sono mai affiorati indici di rischio per la collettività e per l'ambiente, neppure allo stadio potenziale». Tuttavia «questi elementi non sono stati ritenuti presupposti sufficienti ai fini della restituzione degli impianti in sequestro al legittimo proprietario, Ilva in as».

Loading...

Gli avvocati: utopistico l'azzeramento del rischio

E quindi, per i legali, «la Corte d'Assise sembra orientarsi nella logica utopistica dell'azzeramento del rischio, piuttosto che in quella ordinaria (e, sia consentito, ortodossa) del rischio consentito». Si fa anche presente che la situazione del siderurgico di Taranto non è più quella di dieci anni fa, quando scattò il sequestro, che il piano ambientale è ormai prossimo alla conclusione e che i meccanismi di controllo adesso sono più efficaci.

“Sbagliato il calcolo dei 2,1 miliardi”

La sentenza, prosegue l'impugnazione di Ilva in as, ha anche applicato la sanzione accessoria (“erronea applicazione”) della confisca per equivalente del profitto da illecito amministrativo per 2,100 miliardi. Calcolati su «un ipotizzato risparmio di spesa stimato con molta approssimazione da parte del custode giudiziario Barbara Valenzano» quando dal dibattimento è emerso che «il risparmio di spesa riferibile alle imputazioni si sostanzierebbe in 1,327 miliardi» per «le prescrizioni di adeguamento impiantistico finalizzate a prevenire i fenomeni emissivi contestati». Con la transazione però, rilevano i legali, «la precedente proprietà» dei Riva «ha restituito ad Ilva un importo pari ad 1,442 miliardi di euro. Ben si comprende quindi come il soggetto danneggiato, lo Stato, abbia già ricevuto dalla precedente proprietà l'equivalente del preteso risparmio di spesa».

Lo scontro sullo scudo penale

Sebbene la confisca sarà operativa solo dopo l'eventuale conferma della Corte di Cassazione e gli impianti al momento sono sequestrati con facoltà d'uso, la richiesta di revoca incrocia l'avvio dell'iter parlamentare per la conversione in legge del decreto n. 2 del 2023. È il decreto sulle imprese strategiche, un vigore dal 6 gennaio, meglio noto come decreto ex Ilva. Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei ministri il 28 dicembre, autorizza infatti Invitalia, socio pubblico di Acciaierie d'Italia, a sottoscrivere «aumenti di capitale sociale o finanziamento in conto soci» sino ad un miliardo di euro nella stessa Acciaierie. Viene inoltre reintrodotto, come misura di carattere generale, lo scudo penale. «Chiunque agisca al fine di dare esecuzione ad un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell'attivitá di uno stabilimento industriale o parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale, non è punibile per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici se ha agito in conformità alle medesime prescrizioni» recita l'articolo 7 del decreto. «Una norma di buon senso» l'ha definita il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. Ma che ha sollevato la forte protesta di Pd, Cinque Stelle e Verdi, nonché del mondo ambientalista che vede nella norma un blocco dell'azione della Magistratura insieme a quella sul sequestro inserita all'articolo 6 (in caso di sequestro, «il giudice dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario»). Contro lo scudo penale ci sarà un presidio di protesta degli ambientalisti sotto la Prefettura il 17 gennaio.

La Corte d'Assise: ecco perché la confisca va mantenuta

La richiesta di revoca della confisca degli impianti è ovviamente una legittima mossa di Ilva in amministrazione straordinaria e il fatto di averla avanzata ora, col dibattito sul decreto legge appena aperto, è solo una casualità temporale poiché sono in scadenza i termini concessi alla difesa per impugnare la sentenza della Corte d'Assise. Il tema è tuttavia delicato. Per due ragioni. La confisca, chiesta dai pm nel processo in Corte d'Assise e da quest'ultima decisa con la sentenza di maggio 2021, viene ribadita anche nelle motivazioni depositate lo scorso fine novembre.

«Al momento della decisione finale - hanno scritto i giudici - solo una parte delle prescrizioni idonee ad eliminare le situazioni di pericolo risultava realizzata, con la conseguenza che il dissequestro dell’area a caldo provocherebbe gravissime conseguenze a causa dei rischi rilevanti che l'impianto ancora presentava». Secondo la Corte d’Assise, inoltre, «i lavori riguardanti il piano ambientale, ancora non eseguiti, afferiscono interventi importantissimi relativi ad aree dello stabilimento che dall’esame dei periti in sede di incidente probatorio sono risultate le più inquinanti».

L'altra ragione è che la scorsa primavera Procura e Corte d'Assise hanno già detto no al dissequestro degli impianti, chiesto sempre dall'amministrazione straordinaria, e di conseguenza il passaggio dello Stato al 60 per cento in Acciaierie d'Italia è stato spostato a maggio 2024. Anche se ora col nuovo dl potrà essere anticipato su richiesta di Invitalia.

Riproduzione riservata ©

loading...

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti