Per inquinamento ambientale

Sentenza ex Ilva: 22 e 20 anni per Fabio e Nicola Riva, 3 anni e mezzo a Vendola

Condanne a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, tra i 47 imputati nel processo chiamato Ambiente Svenduto

di Domenico Palmiotti

Aggiornato il 31 maggio 2021 alle 18:18

5' di lettura

Ventidue anni di reclusione per Fabio Riva, 20 per Nicola Riva, 3 anni e mezzo per Nichi Vendola, impianti siderurgici di Taranto confiscati. Sono i punti fondamentali della sentenza pronunciata lunedì 31 maggio dalla Corte d'Assise di Taranto per il processo Ambiente Svenduto (47 imputati) relativo ai reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro contestati alla gestione Ilva da parte del gruppo Riva.

Le altre condanne

Il periodo preso in esame va dall'avvento della gestione Riva sino al 2013. Per Fabio e Nicola Riva, che sono tra i principali imputati, i pm avevano chiesto rispettivamente 28 e 25 anni. Vendola, per il quale erano stati chiesti 5 anni, risponde invece di concussione aggravata per aver esercitato pressioni su Arpa Puglia, l'Agenzia per l'ambiente della Regione Puglia, affinché ammorbidisse i suoi rapporti sulla fabbrica.

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Assolto invece l'ex presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, che è stato anche prefetto di Milano (per lui i pm avevano chiesto 17 anni), mentre 4 anni sono stati inflitti ad Adolfo Buffo (la richiesta era di 17 anni), all'epoca dei fatti direttore del complesso di Taranto ma ora direttore generale di Acciaierie d'Italia, la nuova società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, con quest'ultima che rappresenta lo Stato.

Ventuno anni, invece, a Luigi Capogrosso, ex direttore a Taranto (28 anni la richiesta anche per lui) e 21 anni e 6 mesi, a fronte di una richiesta di 28, per Girolamo Archinà, consulente dei Riva per i rapporti istituzionali e definito dai pm la “longa manus” verso la politica e le istituzioni. Capogrosso e Archinà sono tra gli imputati principali insieme a Fabio e Nicola Riva.

Ex Ilva, i lavoratori di Taranto manifestano davanti al Mise

Inoltre, c'è chi ha avuto una condanna superiore alle richieste dell'accusa: è Giorgio Assennato, ex dg Arpa Puglia, che in aula ha rinunciato alla prescrizione. Per lui i pm avevano chiesto un anno. Ne ha avuti due. Ad Assennato viene contestato il favoreggiamento verso Vendola, in sostanza avrebbe negato le pressioni dell'ex governatore pugliese su Arpa.

Confisca degli impianti senza effetto immediato

Circa la confisca degli impianti, non ha alcun effetto immediato sulla produzione e sull'attività del siderurgico di Taranto. La confisca degli impianti è stata chiesta dai pm ma essa sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio. Gli impianti di Taranto, quindi, restano sequestrati ma con facoltà d'uso agli attuali gestori della fabbrica. Gli impianti di Taranto sono infatti ritenuti strategici per l'economia nazionale da una legge del 2012 confermata anche dalla Corte Costituzionale. Per area a caldo si intendono parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie.

Da rilevare che nel passaggio degli impianti dall'attuale proprietà di Ilva in ammistrazione straordinaria all'acquirente, cioè la società Acciaierie d'Italia tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, è previsto il dissequestro degli impianti come condizione sospensiva. Passaggio per ora collocato entro maggio 2022. Tutto da valutare se questo aspetto della confisca, pur non essendo esecutiva, inciderà nei futuri assetti societari e negli sviluppi della vicenda e come.

Oltre un'ora è durata la lettura del dispositivo della sentenza da parte del presidente della Corte, Stefania D'Errico. Disposte anche molte provvisionali a favore dei soggetti che hanno chiesto il risarcimento danni.

Giorgetti: attendiamo pronuncia Consiglio Stato

«Rispettiamo la sentenza, manca la pronuncia del Consiglio di Stato per avere il polso della situazione. A quel punto sarà possibile capire in che quadro giuridico lo Stato, in qualità di azionista, potrà operare. Servono certezze per dare una prospettiva di crescita e sviluppo a Ilva e all'acciaio in Italia». Così il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti.

Emiliano: fermare subito impianti inquinanti

«La sentenza è un punto di non ritorno che deve essere la guida per le decisioni che il Governo deve prendere con urgenza sul destino degli impianti». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. «Gli impianti a ciclo integrato, che hanno determinato la morte di innumerevoli persone tra le quali tanti bambini, devono essere chiusi per sempre e con grande urgenza per evitare che i reati commessi siano portati ad ulteriori conseguenze e ripetuti dagli attuali esercenti la fabbrica - ha sostenuto Emiliano -. L’attività industriale attuale a ciclo integrato a caldo va immediatamente sospesa e si deve decidere il destino dell’impianto e dei lavoratori».

Sindaco Taranto: riconosciute sofferenze città

«Oggi lo Stato italiano riconosce le sofferenze dei tarantini, riconosce gli abusi che si compiono per l’acciaio». Lo ha affermato Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto. «Torno ad invitare il presidente Mario Draghi - ha detto il sindaco - a convocare con somma urgenza il tavolo istituzionale per l’accordo di programma sullo stabilimento siderurgico di Taranto». Per Melucci, inoltre, «la richiesta di confisca dell’area a caldo è uno spartiacque per la storia e la struttura stessa del sistema industriale italiano, per i diritti dei cittadini».

Vendola: giustizia che calpesta verità

«Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. E' come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l'ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all'avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l'ennesima prova di una giustizia profondamente malata». Questo il commento alla condanna a 3 anni e mezzo dell'ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.

Difesa Riva: nessun dolo da parte di impresa

“Nella condotta della gestione Riva non c'è mai stata nessuna forma di dolo, ma solo lo sforzo continuo di adeguare gli impianti e il loro operato ai limiti sempre più stringenti delle normative ambientali, limiti sempre rispettati”. Lo ha detto l'avvocato Luca Perrone, difensore di Fabio Riva. “I Riva - ha proseguito Perrone - costantemente investito ingenti capitali in Ilva al fine di migliorare gli impianti e produrre nel rispetto delle norme”. Secondo il legale di Fabio Riva, “il totale degli investimenti erogati sotto la loro gestione ammonta a 4,5 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi di natura specificatamente ambientale. Cifre e numeri che sono stati certificati dal Tar e dalle due sentenze del Tribunale e della Corte di Appello di Milano di assoluzione piena perché i fatti non sussistono, perché non c'è stato dolo e perché gli investimenti realizzati sono stati veri e cospicui”.

Le reazioni sindacali

“Vediamo con forte preoccupazione la confisca degli impianti disposta dalla magistratura. Le colpe del passato non devono ricadere sul futuro di Acciaierie d'Italia e del lavoro del polo siderurgico”. Lo hanno dichiarato Roberto Benaglia e Valerio D'Aló per la Fim Cisl nazionale. “Come Fim Cisl - hanno rilevato - lanciamo un ulteriore forte allarme: tenere tante “spade di Damocle” sulla testa del polo siderurgico non aiuta a risolvere i nodi critici da cui passa la necessità di produrre “acciaio verde” nel prossimo futuro. Non ci arrendiamo al fatto che lavoro e ambiente possono coesistere e avere un futuro anche a Taranto”. Secondo Rocco Palombella della Uilm, “dopo questa sentenza, lo Stato è di fronte ad un'unica strada: investimenti corposi, anche grazie ai fondi europei, per anticipare i tempi della transizione ecologica del più grande sito siderurgico europeo, verso una produzione ecosostenibile, abbattendo le emissioni delle fonti inquinanti, salvaguardando l'ambiente, l'occupazione e un asset strategico per il nostro Paese”. “Non è più rimandabile - ha rilevato Palombella - un intervento diretto dello Stato nel controllo della maggioranza di Acciaierie d'Italia”. Secondo Francesca Re David e Gianni Venturi della Fiom Cgil nazionale, “occorre evitare che la confisca degli impianti, sia pure non esecutiva nella sentenza di primo grado, non pregiudichi la facoltà d'uso degli stessi e consenta di arrivare ad una rapida conclusione nel processo di transizione degli assetti societari previsti dagli accordi tra Invitalia e ArcelorMittal”. Per la Fiom nazionale adesso “è indispensabile che il Governo e il presidente del Consiglio rompano il silenzio e si assumino le responsabilità di dare una prospettiva certa alle produzioni e ai lavoratori dell'intero settore siderurgico”.


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