Ex Ilva, tregua finita: saltato il tavolo tra sindacati e ArcelorMittal
Trattativa sul piano industriale subito interrotta. I sindacalisti hanno promosso 24 ore di sciopero per il 24 febbraio
di Domenico Palmiotti
2' di lettura
La tregua è durata poco. A Taranto ArcelorMittal Italia e sindacati sono di nuovo ai ferri corti. La trattativa avviata mercoledì 10 febbraio per l'approfondimento del piano industriale area per area, si è subito interrotta. I sindacalisti hanno lasciato il tavolo e promosso 24 ore di sciopero per il 24 febbraio. La protesta è di Fim, Fiom, Uilm, Usb e Ugl.
Invitalia assente al tavolo
Lo strappo si è consumato col soggetto privato perché quello pubblico (Invitalia), che pure fa parte della nuova società, non era presente al tavolo e non sta ancora esercitando il suo ruolo nell’ambito della governance paritaria prevista dall’accordo del 10 dicembre tra le parti, approvato dalla UE.
Da Taranto sarebbe dovuta partire la discussione sito per sito anche per affrontare il nodo della forza lavoro da impiegare nell’avanzamento del nuovo piano industriale che ha come traguardo il 2025 con 8 milioni di tonnellate di acciaio. Prima, però, ci sarà una transizione fatta di cassa integrazione e di produzione in graduale risalita negli anni.
Le preoccupazioni del sindacato
La discussione, che sarebbe dovuta proseguire sino a lunedì 15 febbraio, si è però bloccata al primissimo step. I sindacati lamentano mancate risposte di ArcelorMittal su temi ritenuti fondamentali. Si parte dal ruolo del socio pubblico, Invitalia, che «resta determinante soprattutto per il futuro di migliaia di lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria». Sono i 1.600 in cassa integrazione straordinaria da novembre 2018, che l’accordo al Mise dello stesso anno prevedeva di ricollocare mentre quello di dicembre 2020 non tiene più presenti. Altra richiesta, «ammortizzatori sociali speciali per l’intero periodo previsto dal piano industriale con l’introduzione dell’integrazione salariale».
Si chiede un rafforzamento economico della cig, tema sul quale ArcelorMittal ha rinviato all’azionista pubblico. Chiesta, inoltre, la ripresa della «quota di rimpiazzo» del personale perché, dicono i sindacati, «è inammissibile» che l’azienda metta «in cassa integrazione gli operatori che fanno parte dell’organico tecnologico». Ma questa rivendicazione l’azienda l’ha definita «un costo che non possiamo sostenere». Per i sindacati, invece, è «una modifica organizzativa unilaterale da parte dell’azienda che comporterebbe di fatto un esubero strutturale».
Sollevato anche il tema della «manutenzione centrale e di produzione» perché «nonostante la ripartenza di alcuni impianti, che hanno innalzato la produzione giornaliera, riscontriamo un numero eccessivo di lavoratori in cassa integrazione».
Ancora ritardi nei pagamenti all’indotto
Infine, la situazione delle imprese dell’indotto, per le quali, come mesi fa, «continuiamo ad assistere a ritardi rispetto al pagamento delle ditte di appalto che si ripercuotono inevitabilmente sui lavoratori».
All’incontro si era arrivati in un clima già teso per via di alcuni recenti episodi. Sabato scorso è andata a fuoco una gru di una impresa appaltatrice sul terzo sporgente portuale dello stabilimento. Non ci sono stati feriti ma si è scoperto che gli idranti vicino alla gru erano privi di acqua.
Aperture al dialogo, poi lo scontro
Da parte sua ArcelorMittal, a fronte della risalita produttiva tracciata dal nuovo piano industriale, aveva manifestato la disponibilità a condividere con i sindacati il numero di lavoratori da impiegare in funzione della ripartenza degli impianti poiché l’aumento di produzione avrà un riflesso occupazionale. L’azienda ha anche espresso disponibilità circa la ridiscussione dell’accordo di secondo livello. Ma i due segnali lanciati da ArcelorMittal si sono subito impattati con lo scontro tra le parti affossando così il tavolo.
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