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Ex moglie casalinga? Assegno di divorzio più alto perchè la cura della casa è lavoro

Anche se non ci sono figli e il matrimonio è durato solo 8 anni il giudice non può decidere per il solo assegno assistenziale, senza far pesare il lavoro svolto in casa che dà diritto alla misura compensativa

di Patrizia Maciocchi

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2' di lettura

Occuparsi della casa, consentendo al marito di svolgere la sua attività senza altre incombenze, è un lavoro che merita il dovuto riconoscimento al momento del divorzio. Il giudice non può, infatti, stabilire un assegno che sia solo assistenziale, senza considerare il contributo che la donna ha dato alla formazione del patrimonio comune o del marito. Partendo da questo principio la Cassazione (sentenza 24826) bacchetta la Corte d’appello che aveva avallato il taglio dell’assegno in favore della ex passandolo da 600 euro a 250. Una drastica riduzione fondata su diverse considerazioni.

La signora aveva 52 anni, non aveva problemi di salute e, in più abitava in Sardegna, regione ad alta vocazione turistica nella quale non mancavano occasioni di lavoro. Per i giudici territoriali la donna non meritava di essere totalmente mantenuta, ma aveva diritto ad una somma che l’aiutasse a raggiungere l’indipendenza economica, perchè il suo impegno, in assenza di figli, durante il non lungo matrimonio, solo 8 anni, era stato speso solo per la casa.

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Il riconoscimento del lavoro domestico

Completamente diverso il punto di vista della Suprema corte. Sul piatto della bilancia, i giudici di legittimità mettono la diversa situazione economica della ex coppia. Lui con uno stipendio di 1.900 euro, proprietario di un immobile e di due case in nuda proprietà. La signora non aveva mai lavorato, per espressa volontà del marito, e non possedeva qualifiche o professionalità di spendere nel mondo del lavoro dopo i 50 anni. Ci aveva però provato iscrivendosi alle liste di collocamento. L’errore maggiore però, ad avviso della Cassazione, i giudici di merito lo hanno fatto nel non considerare un lavoro la cura della casa. Lo era perché ha, tra l’altro, permesso all’ex marito di dedicarsi alla sua occupazione. La Suprema corte annulla con rinvio il verdetto che considera iniquo e invita i giudici a decidere per un assegno compensativo, che tenga conto del contributo dato dalla ricorrente alla vita familiare.

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