2' di lettura
Roma, Riyad o Busan? Mancano undici giorni al verdetto del Bureau International des Expositions: il 28 novembre l’assemblea dei delegati dei 182 Paesi che compongono il Bie si esprimerà a Parigi sulla città che dovrà ospitare l’Esposizione Universale del 2030. Il voto è segreto, ma la grande favorita è la capitale dell’Arabia Saudita. Merito di una campagna elettorale particolarmente aggressiva e convincente, fatta anche di accordi per investimenti miliardari non solo sull’energia, che vale a Riyad il sostegno annunciato della Francia di Emmanuel Macron e di altri Paesi a noi vicini, come la Grecia.
Il nodo sta nei numeri. Secondo il meccanismo del Bie, per aggiudicarsi subito l’Expo occorre avere i due terzi dei consensi, dunque oltre 120 voti. L’Arabia ce li ha? In Italia non tutti ne sono convinti e, nonostante il pessimismo montato nelle ultime settimane, si continua a sperare che Roma possa piazzarsi seconda convogliando all’eventuale ballottaggio i voti andati in prima battuta alla Corea. La sproporzione delle forze in campo è apparsa evidente da subito. La candidatura a ospitare Expo 2030 è per Riyad solo un tassello del più ampio mosaico del piano Vision 2030 che punta a sganciare l’Arabia dalla dipendenza dalle entrate derivanti dal petrolio. Impossibile, per Roma, competere con la potenza di fuoco economica messa in campo dal principe saudita bin Salman. Ecco perché l’Italia ha deciso di scommettere sui valori: il progetto per Expo Roma 2030 rivela già dal titolo, “Persone e territori: rigenerazione urbana, inclusione e innovazione”, la volontà di offrire la Capitale come vetrina dei progetti per la sostenibilità ambientale e sociale. Un palcoscenico per individuare «il modello di convivenza urbana del futuro».
Se il Governo Meloni si è trovato il dossier tra le mani, ereditato dalla decisione dell’Esecutivo Draghi che aveva nominato Giampiero Massolo presidente del Comitato promotore, è soprattutto in Campidoglio che si continua a sperare in un miracolo. Secondo il dossier di candidatura, redatto da un team di professori e professionisti internazionali tra cui Ian Philion, Richard Burdett, Carlo Ratti e Italo Rota, che hanno collaborato con le università romane e le istituzioni locali e nazionali, sotto la guida dell’architetto Matteo Gatto, il valore dell’impatto economico generato da Expo 2030 per l’Italia ammonterebbe a 50,6 miliardi, con 18,2 miliardi di effetto economico indiretto a breve e 10 miliardi di effetto economico diretto. Le presenze attese sarebbero 30 milioni, le nuove aziende 11mila, i posti di lavoro creati 300mila. Un’occasione unica per riqualificare l’area di Tor Vergata, che dovrebbe ospitare il sito espositivo intorno alle Vele di Calatrava e collegarsi attraverso un lungo corridoio verde ai principali punti archeologici della via Appia e agli altri edifici e monumenti storici di Roma.
Ci crede Unindustria, che con il presidente Angelo Camilli è stata la prima a lanciare l’idea di candidare Roma. Ci credono le oltre 50 imprese socie della Fondazione Expo Roma 2030, presieduta da Massimo Scaccabarozzi. Il riferimento è Milano: nel 2008 si aggiudicò l’Expo 2015 al fotofinish, battendo Smirne con 86 voti contro 65.
loading...