Imposta sulle banche: la misura non basta a tutelare i correntisti
Dalla conversione in legge sono attese modifiche non solo a favore delle banche
di Adriano Melchiori
I punti chiave
4' di lettura
Il margine di interesse delle banche nel 2022 è stato di 45,5 miliardi: il più alto di sempre. Ma ora sembra un’inezia rispetto a quello in formazione nel 2023, destinato a chiudere attorno ai 65 miliardi di euro. Un incremento annuale di 20 miliardi che confermerebbe gli elevati vantaggi capitalizzati dalle banche con l’aumento dei tassi gestito a due velocità. Non a caso, da più parti si è parlato di equità da ripristinare e di tutela dei clienti.
L'imposta straordinaria, quindi, sarebbe letta come una sorta di penale per il ritardo accumulato dalle banche nel remunerare più adeguatamente i depositi. Soprattutto le giacenze dei conti correnti, il cui tasso medio si è fermato a giugno allo 0,36% (era pari a 1,59 e 1,83% negli anni 2007 e 2008, prima dei tassi negativi). E ciò nonostante i 1.336 miliardi depositati sui conti rappresentino il 67% della raccolta bancaria da residenti e siano utilizzati per la metà nei finanziamenti alla clientela e per il rimanente in altri investimenti, titoli compresi (nell'ultima asta il rendimento lordo dei bot con durata residua di 5 mesi è stato del 3,829%).
Una imposta-penale per le banche che, però, non ristora i correntisti. Ci sarebbe da chiedersi, allora, se nel dibattito apertosi sulle modifiche da apportare al decreto, il legislatore possa anche trovare il modo di tutelare i correntisti.
Art. 118 Tub: modifiche ripristinatorie a favore dei correntisti
Basterebbe, in sede di conversione del decreto, inserire un’interpretazione autentica dell’art. 118 del Tub per ripristinare equità e buona fede nei rapporti tra banche e correntisti. Nonostante la crescita eccezionale di margini finanziari e utili, infatti, le banche non rinunciano a beneficiare di condizioni contrattuali dei conti (tassi e spese) a suo tempo peggiorate unilateralmente a danno dei correntisti - ai sensi dell’art. 118 Tub – adducendo come giustificato motivo i tassi negativi, scomparsi più di un anno fa.
Una rendita di posizione mantenuta anche se principi di buona fede e correttezza imporrebbero alle banche di ripristinare l'equilibrio e le condizioni contrattuali precedenti la modifica peggiorativa. Banca d'Italia, nel suo comunicato del 15 febbraio scorso, ha sollecitato le banche - che in passato per i tassi negativi hanno azzerato la remunerazione dei depositi in conto corrente e/o aumentato gli oneri a carico dei clienti - a rivedere le condizioni in senso favorevole ai clienti. Ma la moral suasion ha fallito.Si tratta di un'anomalia che l'imposta straordinaria una tantum non risolve e il cui rimedio non può essere lasciato all'iniziativa singola di milioni di correntisti, che ne sopportano gli oneri nel continuo, non una tantum.
In sede di conversione del decreto, basterebbe inserire un chiarimento normativo al riguardo, finalizzato a ribadire che “la facoltà concessa alle banche dall'articolo 118, comma 1, del Tub di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo, deve intendersi nel senso che il venir meno del giustificato motivo addotto comporta per la banca l'obbligo di ripristinare le precedenti condizioni contrattuali” più favorevoli ai correntisti.
Sarebbe una precisazione, ispirata dal buon senso oltre che dai principi giuridici di lealtà e buona fede, finalizzata a perseguire, ora e in futuro, l'equità nei rapporti fra banche e clienti. Una previsione che darebbe effettiva attuazione alla tutela della clientela enunciata in epigrafe del decreto.
Tassato l’attivo di bilancio più che il margine di interesse
Con riferimento alla struttura del prelievo, invece, si rileva che l'imposta straordinaria a carico delle banche, rubricata dall'articolo 26 del decreto legge n. 104/2023 come calcolata sull'incremento del margine d'interesse, a conti fatti e a testo invariato si ridurrà a una patrimoniale liquidata quasi sempre applicando lo 0,1% sull'attivo dei bilanci 2022.
Si tratta del limite, che il comma 3 indica come tetto massimo del prelievo (cap), inserito in extremis per ridurre (mediamente della metà) l'imposta più elevata del 40% sull'incremento del margine finanziario rilevato nei bilanci 2022 e 2023 rispetto al bilancio 2021 (il maggiore dei due), al netto di una franchigia del 5 e 10%.
La conferma, in attesa dei bilanci 2023, viene dai dati delle ultime semestrali e dalla loro proiezione annuale. Nei primi sei mesi dell'anno, le principali banche italiane (che nel 2022 sommavano l'80% del margine di interesse di sistema), hanno registrato un incremento medio del 70% della “voce 30” del conto economico rispetto ai bilanci 2021. Dall'analisi emerge che nessuna di esse sarebbe tassata sul margine finanziario, applicandosi a tutte l'imposta massima dello 0,1% dell'attivo 2022.
Anche i dati di sistema riportati in tabella, pur incorporando per le altre banche una crescita media 2023/2021 più contenuta (+40%), evidenziano che l'imposta sul margine di circa 8,3 miliardi, sarebbe calmierata nell'ammontare massimo di 4 miliardi, corrispondenti allo 0,1% dei 3.965 miliardi segnalati da Banca d'Italia (in appendice alla relazione annuale) come totale delle attività delle banche italiane a fine dicembre 2022. È quindi ragionevole concludere che, per la quasi totalità delle banche, la tassazione effettiva non sarà calcolata sull'ammontare del margine di interesse.
Investimenti irrilevanti, anche se in titoli di Stato
Proprio perché, in concreto, a essere tassato è quasi sempre l'attivo del bilancio 2022 e non l'incremento del margine, le scelte d'investimento compiute dalle banche non hanno ricadute sull'imposta straordinaria. Il totale dell'attivo infatti non cambia, sia perché la base di calcolo dello 0,1% è fissata con riferimento al bilancio 2022 già chiuso. Sia perché rileva il totale dell'attivo e non la sua composizione.
Se è vero, poi, che il margine d'interesse è formato non solo dalla differenza fra interessi attivi e passivi con la clientela, ma anche da altri interessi, bisogna tuttavia pure considerare che la raccolta da clientela è destinata in larga parte anche a impieghi fruttiferi diversi dai prestiti a clienti.
Escludere, pertanto, dal margine finanziario gli interessi diversi da quelli verso clientela - titoli di Stato compresi - oltre che inutile per ridurre il prelievo (calcolato quasi sempre sull'attivo e non sul margine), sarebbe incongruente con la ratio della tassazione, in quanto anche la redditività delle altre forme d'investimento aumenta quando viene compressa la remunerazione dei depositi che ne costituiscono la provvista.
Pertanto, se il legislatore volesse detassare gli investimenti in titoli di Stato da parte delle banche, basterebbe prevedere la deduzione del loro valore di bilancio dal totale dell'attivo 2022: la riduzione dell'imposta ammonterebbe a circa 376 milioni (soglia cap dello 0,1% sui 376 miliardi di titoli di Stato detenuti a fine dicembre 2022), mitigando così del 10-15% l'onere complessivo dell'imposta straordinaria.
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