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Extraprofitti, il tetto dimezza il prelievo: ecco il conto banca per banca

La tassa per gli istituti italiani non sarà nell'ordine dei 4-5 miliardi messi in conto sulla base delle prime indicazioni, ma sarà ben più contenuta: non andrà oltre i 2-2,5 miliardi di euro

di Luca Davi

(moonrun - stock.adobe.com)

4' di lettura

La “toppa” è arrivata nella serata di martedì, dopo che le banche italiane in una sola seduta avevano già perso una decina di miliardi in termini di capitalizzazione. Solo a quel punto, al termine di una giornata convulsa, dopo due versioni della norma, dopo contatti frenetici tra Governo, Mef e vertici dell’Abi e un’infinità di rumors e smentite, dal Tesoro si è deciso di diffondere un “chiarimento” – di fatto una terza versione della norma - con cui si spiegava che la tassa sui profitti delle banche generati dall’incremento dei tassi Bce non potrà superare lo 0,1% degli attivi dei singoli istituti, quota ben inferiore a quel 25% del patrimonio netto inizialmente identificata come soglia massima del prelievo. Una manciata di righe, essenziali per definire e ridimensionare la magnitudo del salasso, arrivate a mercati chiusi, quando però oramai il danno di credibilità dell’intero sistema bancario (e non solo) agli occhi degli investitori internazionali era fatto.

Insomma, alla fine la tassa sugli “extra-profitti” delle banche italiane non sarà nell’ordine di quei 4-5 miliardi attesi da tanti analisti, che avevano fatto i calcoli sulla base delle indicazioni diffuse dal Governo nella serata di lunedì. Sarà ben più contenuta: non andrà oltre i 2-2,5 miliardi di euro per l’intero sistema bancario, e forse anche meno. In pratica una tassa più che dimezzata rispetto alle previsioni.

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Sia chiaro: non certo una sciocchezza ma neppure un ammontare insostenibile per le casse delle banche italiane. Da qua il netto rimbalzo dei titoli degli istituti, che ieri hanno recuperato parte dei cali del giorno precedente, spingendo Piazza Affari in rialzo dell’1,3%.

L’impatto per gli istituti

Ma quale sarà l’impatto per i diversi istituti? Secondo le stime di Jefferies, l’impatto medio del prelievo dovrebbe aggirarsi attorno ai 30 punti base del patrimonio di qualità (CET1 ratio) per le prime 10 banche italiane, «la metà di quanto previsto nello scenario precedente in cui il tetto non era stato previsto». Gli analisti di Ubs mettono in conto un salasso complessivo attorno agli 1,9 miliardi in termini aggregati per le principali otto banche italiane, ognuna delle quali è destinata a fare caso a sè, visto che diverse sono le dimensioni e l’incremento del margine di interesse, base su cui è applicata l’aliquota del 40% prevista. L’erosione di redditività derivante dalla tassa dell’Esecutivo potrebbe aggirarsi attorno al 6% per UniCredit per salire al 15-16% per BancoBpm, con Mediobanca e Intesa Sanpaolo nella fascia intermedia compresa tra il 9 e il 12%. Intesa, ad esempio, si troverebbe a sborsare 877 milioni circa, UniCredit 436, Banco Bpm 190, Bper 152. Le altre banche dovrebbero gestire una decurtazione attorno al 5-9%, cifre comunque ben lontane del precedente 20-27%.

Banchieri, no posizione formale prima del testo definitivo

Questo, come detto, sulla base dell’ultima versione del Decreto Omnibus disegnato dal Governo, che presumibilmente andrà in Gazzetta a breve. Oggi si terrà un Comitato straordinario di Presidenza dell’Abi, che farà una prima valutazione della questione con una relazione informale del presidente Antonio Patuelli. Improbabile che i banchieri vogliano prendere una posizione formale prima di avere in mano il testo definitivo e la relazione tecnica che deve accompagnare la norma, tanto che nessun comitato esecutivo è stato convocato. Anche perché nessuno, nel settore, ha intenzione di andare allo scontro con il Governo su una questione così delicata. Così come nessuno crede a possibili ulteriori cambiamenti del testo prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il vero lavoro scatterà invece subito dopo, e cioè in vista della conversione del decreto legge. Nei 60 giorni di tempo antecedenti alla trasformazione in legge si capirà se e come le banche potranno contribuire a correggere il testo per renderlo più digeribile. Soprattutto per evitare che a pagare dazio siano le banche che più si sono impegnate ad aumentare i prestiti, e che oggi si trovano - proprio per questo - sotto la mannaia governativa.

Passera: minata la credibilità internazionale

Di certo, il vero effetto di questa maldestra “manovra d’agosto” - con il varo di un provvedimento pur condivisibile sotto il profilo dell’equità sociale ma comunque imprevisto e non concordato, più volte smentito, corretto in corsa dopo il suo annuncio e con un “tetto” elevatissimo, come il 25% del patrimonio netto - rischia di essere la perdita di fiducia da parte degli investitori verso l’intero sistema finanziario italiano. Il tracollo dei titoli bancari subito martedì ne è la dimostrazione. Gli investitori, sottolineavano gli analisti di Deutsche Bank ieri, rimangono sorpresi da «come rapidamente il clima industriale possa cambiare in Italia».

Il peggio è che a pagare il dazio più elevato alla fine, più che le banche, rischiano di essere i piccoli e grandi investitori, italiani e internazionali, che altro non sono che i fondi pensione, le assicurazioni e i fondi di investimento che a loro volta custodiscono i risparmi del retail. «Il danno - diceva ieri un banchiere d’esperienza come Corrado Passera, ceo di illimity - è stato comunque grave e, come in altre occasioni il nostro Paese è riuscito a minare la sua credibilità internazionale».

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