Fabio Fazio lascia la Rai: perché in 40 anni ha cambiato la Tv (senza inventare niente)
Il conduttore in procinto di passare a Discovery è bravissimo a mescolare generi e modelli pre-esistenti. Divide il pubblico, ma lo unisce nel dibattito
di Francesco Prisco
I punti chiave
3' di lettura
Ci sono due tipi di innovatori: quelli che effettivamente scoprono qualcosa di nuovo, ma quasi «loro malgrado», senza capire fino in fondo la portata di ciò che hanno per le mani, e quelli che non inventano niente ma per primi comprendono e valorizzano le scoperte altrui. Se stessimo parlando di scoperte geografiche, ci verrebbe facile scomodare Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci in rappresentanza delle due categorie. Siccome stiamo parlando di televisione, ci viene ancora più facile mettere Fabio Fazio al posto di Amerigo Vespucci: uno che in 40 anni forse non avrà inventato niente di nuovo, ma ha indiscutibilmente cambiato la Tv italiana.
«Che tempo che fa» chiude dopo 20 edizioni
La cronaca è nota: Fazio lascia la Rai, chiude dopo 20 edizioni Che tempo che fa e se ne va a Discovery, rivendicando di fronte al proprio pubblico di non essere uomo «adatto a tutte le stagioni». Il riferimento è ovviamente ai nuovi equilibri politici che, con Giorgia Meloni premier, hanno il loro bell’impatto su Viale Mazzini. Fazio ha sempre avuto dalla sua risultati di share importanti, ma è sempre stato percepito a destra come uomo di parte, dell’altra parte per la precisione. Nonostante i modi felpati e il grande equilibrismo nelle interviste.
La Tv come «imitazione»
La cosa indiscutibile è che la televisione di Fabio Fazio in questi 40 anni ha funzionato, mettendo spesso e volentieri d’accordo Auditel e qualità dei contenuti. Lui sa imitare e questo è un grande pregio. Chi ha qualche anno in più magari si ricorda il Fazio imitatore degli anni Ottanta, quando su Odeon Tv riproduceva la proverbiale flemma del Barone Liedholm: «Milan squadra più forti del mondo». Era completamente un altro mondo e un altro modo di fare Tv: a presentare c’era Zenga, portiere della Nazionale, il titolo del programma era Forza Italia (sic!). Fazio già c’era, appena 20enne, secondo qualcuno in virtù di simpatie socialiste. Poi, nel ’93, venne Rai 3 con Quelli che il calcio, il sodalizio con Paolo Beldì, la spalla sapiente Marino Bartoletti. Fazio non inventa il calcio in Tv, ci mancherebbe, ma è forse il primo a capire che gli appassionati di calcio (gli Idris, le suor Paola) sono loro stessi uno spettacolo da riprendere in diretta.
Tra «Anima mia» e Sanremo
Al di là di simpatie politiche presunte o reali, gli anni di Tangentopoli e il berlusconismo di governo non offuscano l’astro nascente che ci metterà poco a diventare una stella fissa della galassia Rai. Con Anima Mia (1997) e Claudio Baglioni per spalla, Fazio non racconta gli anni Settanta, ma l’amarcord di noi che c’eravamo. Ed è un gol a porta vuota che riporta i Cugini di Campagna in classifica (ri-sic!) e gli apre le porte del Festival di Sanremo, fatto e rifatto (nei bienni 1999-2000 e 2013-2014). Avevate visto mai all’Ariston Gorbaciov e il premio Nobel Dulbecco, Neil Armstrong e Bono degli U2 che s’inchina a Mario Merola? Con Fazio succede e pazienza se qualcuno s’indigna per il fatto che nelle sue edizioni quel che ruota intorno al festival diventa più importante del festival stesso (di cui addirittura ribalta la formula della gara). Ma è o non è questa la cifra della sua televisione?
«Che tempo che fa»: un po’ Letterman, un po’ Costanzo
E qui veniamo a Che tempo che fa (2003-2023), il talk che è un contenitore di cose televisive che Fabio Fazio non ha inventato, ma ripropone alla Fabio Fazio. C’è un po’ del David Letterman Show, un po’ del Maurizio Costanzo Show, le interviste ai grandi (Barack Obama, Papa Francesco, ma pure Woody Allen e Bill Gates), i siparietti degli immortali Teocoli e Frassica, la glorificazione dell’icona anti-camorra Roberto Saviano, la finestra sul cortile della pandemia di Burioni nei giorni bui del lockdown. Fazio unisce il paese nel dibattito dividendo il pubblico.
Unire il pubblico... dividendolo
Proprio questo suo essere divisivo gli permette di superare indenne l’avvento dei social, l’era in cui dividere è diventato un plus. Perché di fronte alle sortite di Luciana Littizzetto - di fatto l’editorialista del suo programma - c’era chi applaudiva e chi s’indignava, quelli che sottolineavano le cifre spropositate guadagnate dai due e quelli che controbattevano che, grazie a quei due, la Rai di soldi ne faceva ancora di più. Un lusso che evidentemente Viale Mazzini ha deciso di non potersi permettere più, anche se - piccolo dettaglio - non ha ancora deciso chi avrà il compito di colmare il buco nel palinsesto lasciato da Fazio. Gli osservatori più attenti noteranno comunque che non è la prima volta che il conduttore, uomo di punta della scuderia di Beppe Caschetto, si concede una parentesi nella Tv privata, in questi ultimi 20 anni. È sempre andata a finire che è tornato in Rai più forte di prima. Perché il pubblico televisivo è volubile per definizione, ma non quanto l’elettorato italiano.
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