Fabiola Gianotti: «La scienza è unificante. Abbiamo una vocazione cooperativa»
L’intervista alla direttrice generale del Cern: da 20 anni il nostro budget di breve e medio periodo può contare su fondi per circa 1,3 miliardi di franchi svizzeri
di Paolo Bricco
I punti chiave
6' di lettura
«Ogni volta che i miei colleghi producono dei nuovi risultati sul bosone di Higgs, mi viene un piccolo struggimento. Ma sono importanti tutte quante le tessere del mosaico: sia l'attività diretta in laboratorio, che rimane la prima e grande passione di tutti noi che abbiamo dedicato la nostra vita professionale alla ricerca, sia la definizione della strategia e l'esecuzione dei progetti».
Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern di Ginevra, usa proprio questa espressione: piccolo struggimento. Per indicare quel brivido che ogni ricercatore – non importa che sia uno storico medievista nell'archivio di una parrocchia di campagna o un fisico sperimentale in un laboratorio di fisica delle particelle – ha quando il suo lavoro quotidiano - in uno sforzo continuo e duro, amorevole e sfiancante - porta al lampo illuminante del risultato. E, per la Gianotti, che guida uno degli snodi scientifici e culturali essenziali della nostra contemporaneità, si aggiunge il sentimento di chi dedica, in questo momento della sua vita, più tempo alla componente manageriale e organizzativa rispetto agli esperimenti a cui per anni ha lavorato e a cui, un giorno, non potrà – per vocazione – non tornare.
Una vita (professionale) al Cern
Con lei – nata a Roma il 9 ottobre del 1960, trasferitasi all'età di sei anni a Milano con il papà Agostino (geologo) e la mamma Maria (filologa romanza), un fratello di nome Claudio - la “A tavola con” è a distanza, per via delle politiche di contenimento del rischio da pandemia attuate dall'istituto.
La sua educazione è espressione dell'Italia e il suo percorso professionale è tutto dentro al Cern: dopo il liceo classico dalle suore orsoline, la laurea e il dottorato di ricerca in fisica all'Università Statale (tutto a Milano), si è spostata, nel 1994, a Ginevra. Dove, nel 2016, è stata designata appunto direttrice generale (la prima donna a ricoprire questo incarico) e dove è stata confermata per un secondo mandato di altri cinque anni, fino alla fine del 2025: è, anche questo, la prima volta che accade nella storia del Cern.
Potere e responsabilità
Il suo ufficio è al quinto piano, nel complesso di seicento ettari che con i suoi ventisette chilometri di acceleratore costruito cento metri sottoterra si estende morfologicamente in Svizzera e in Francia e appartiene – civilmente e politicamente – a una visione profondamente novecentesca di condivisione concreta degli ideali della cultura e della scienza e di universalità, tutt'altro che astratta, dei loro patrimoni di conoscenza. Per questa ragione, nel suo caso specifico, il binomio del potere e della responsabilità ha una declinazione particolare e si tinge di un cosmopolitismo del sapere e, anche, delle anime che fa un effetto quasi rasserenante, mentre i confini di ogni genere fra le Nazioni si inspessiscono e le relazioni fra gli esseri umani, in ogni campo, si surriscaldano.
Il business lunch via zoom
Durante questa riunione conviviale – business lunch via Zoom, nell'inglese lingua franca della comunità internazionale del Cern – la Gianotti ha alle spalle una libreria stipata di faldoni, documenti e report. Sulla parete è appesa una grande foto dell'acceleratore principale, il Large Hadron Collider, che dà il senso di potenza e suggestione di una sorta di “Metropolis” di Fritz Lang orizzontale e sotterranea, a colori e soprattutto in cui l'elemento onirico della scienza ha generato il sogno e non l'incubo della tecnologia.
Prima di iniziare a mangiare e a conversare – nello spirito di accoglienza strano che segna i tempi in cui la virtualità ha preso il sopravvento sulla presenza fisica per preservare la salute dei corpi – mi mostra con gentilezza il resto del suo ufficio spostandosi con il computer nella stanza: vedo, in particolare, la finestra principale che dà sul verde del giardino.
La sua “A tavola con” incomincia con una zuppa di verdure, mentre io da casa – ad Arcore, in Brianza – assaggio una quiche con parmigiano reggiano fuso e prosciutto crudo.
Umanesimo e geopolitica della scienza
Nella storia la scienza e la tecnologia sono state instrumentum regni. Nella prima fase della pandemia, gli Stati e le multinazionali del farmaco hanno condiviso le informazioni e hanno facilitato la scoperta dei vaccini contro il Covid-19 con tempi molto più rapidi rispetto agli standard di questo settore industriale e ai tradizionali sistemi di regolazione nazionali e internazionali. Si è trattato anche, in fondo, di un grande sforzo di umanesimo culturale e antropologico. Invece, in un secondo tempo – in coincidenza con la fase della produzione, della distribuzione e dei flussi di export dei vaccini - è riemersa la dimensione geopolitica della scienza. Gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e l'Unione europea hanno misurato i loro rapporti di forza e di debolezza, di propensione egemonica e di tendenza alla democratizzazione attraverso i differenti stili di gestione della pandemia.
La scienza universale e unificante del Cern
Il Cern, invece, ha una impostazione differente. Non c'è nulla di moralistico o di politicamente corretto. E' il frutto buono (e ancora in grado di generare nuovi semi di futuro) di una precisa visione culturale di lungo periodo, che rappresenta l'evoluzione del razionalismo settecentesco e del positivismo ottocentesco e che ha costituito, negli anni Cinquanta del secolo scorso, una risposta di attitudine irenica e cooperatrice dell'Europa alle macerie e al sangue della Seconda guerra mondiale. Oggi fanno parte del Cern ventidue Paesi europei, a cui si è aggiunto Israele. Dice con orgoglio Gianotti: «Siamo animati dalla passione per la scienza, non dalla geopolitica. Da noi e con noi lavorano insieme scienziati israeliani, palestinesi e iraniani. La scienza è universale e unificante. La nostra vocazione è più cooperativa che competitiva, anche con le grandi istituzioni americane, russe e giapponesi con cui ci misuriamo e ci confrontiamo ogni giorno».
L'elemento interessante della collocazione strategica del Cern – e, anche, del suo vertice – è la congiunzione stretta fra passato, presente e futuro. Il Cern rappresenta uno degli snodi di un ordito che - a partire da Albert Einstein e da Niels Bohr, dalla relatività generale e dalla meccanica quantistica - ha reso la fisica uno dei veli che, insieme, squarciano e illuminano la realtà. Nella sua struttura e nei suoi riflessi culturali: «Gli studi sulle proprietà del bosone di Higgs, sull'antimateria e sulla materia oscura sono fondamentali per capire la struttura e l'evoluzione dell'universo e aprono riflessioni che si allargano alla filosofia, alla filosofia della scienza e al senso ultimo delle cose», spiega con pacato entusiasmo, lei che ha una visione complessa e articolata del mondo, tanto da essere stata nominata membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze da Papa Francesco.
«Open» per statuto
L'antropologia positiva e le scoperte fanno il paio con una fertilizzazione della contemporaneità che passa, ancora una volta, per la governance della condivisione. Basti pensare all'impulso che, da Ginevra, è arrivato trent'anni fa allo sviluppo della rete. «Già nel nostro statuto fondativo, che risale al 1953, è sancito il principio della open science. La scienza è per definizione aperta. I suoi risultati vanno condivisi con tutti, gratuitamente. Per questa ragione, mettiamo a fattore comune tutti gli esiti dei nostri sforzi. Un nostro scienziato, Tim Berners-Lee, lavorando al Cern inventò nel 1989 il world wide web. L'obiettivo era condividere le informazioni fra ricercatori. Nel 1993, la scelta dell'allora direttore generale Carlo Rubbia fu di rendere il web disponibile a tutti gratuitamente», spiega con soddisfazione identitaria non soltanto personale, ma anche da rappresentante di una istituzione e da leader di una comunità.
Risorse per disegnare il futuro
Io proseguo il nostro pranzo a distanza con una brioche salata farcita con salame e fontina. Lei, invece, assaggia del salmone. Questa comunità, oggi, è formata in tutto da 18mila scienziati: 2.700 fanno parte dello staff in pianta stabile; 15.300 operano in connessione continua con le loro università e i loro centri di ricerca e trascorrono periodi strutturati a Ginevra. Oltre alle competenze intellettuali, ci sono le risorse finanziarie che mostrano come i programmi per la ricerca in fisica delle particelle siano una delle forme più durevoli e strutturate in cui si è concretizzato lo spirito neo-illuminista dei padri fondatori di una nuova Europa che rinunciava, oltre settant'anni fa, ai demoni della dittatura e alle politiche di potenza fra le Nazioni del Vecchio Continente. Nota a questo proposito Gianotti, che ha arricchito la sua identità scientifica con un profilo comparabile a quello dell'amministratrice delegata di un grande gruppo internazionale: «Da vent'anni, gli investimenti di breve e di lungo periodo possono contare in media su un budget annuale pari a 1,3 miliardi di franchi svizzeri».
La Gianotti conclude il suo pranzo con una tazza di macedonia. Io, invece, mangio una fetta di torta al cioccolato. Nessun giorno della vita è semplice. I giorni che tutti noi stiamo vivendo, da un anno a questa parte, lo sono ancor meno. Ci salutiamo, bevendo entrambi un caffè espresso. E, pensando a lei e alla concezione illuminista e razionale della scienza del “suo” Cern, mi viene in mente come forse - una volta tanto - si possa modificare il vecchio binomio gramsciano: da «pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà» a «ottimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà». E, mentre spengo il computer, mi sento bene.
loading...