“Fair use” applicata: se Warhol vs Goldsmith rimodella il copyright
La Corte Suprema degli Stati Uniti nel corso della prima udienza orale nel caso che vede la Fondazione della pop art contro la fotografa rivede il test per l'applicazione del fair use, una difesa al copyright
di Giuditta Giardini
I punti chiave
7' di lettura
Con il volgere di ottobre si chiude un mese elettrizzante per il mondo dell'arte. Tra Larry Gagosian che smentisce le voci su una possibile acquisizione delle gallerie da parte del gruppo del lusso LVMH lasciando comunque il sospetto sul futuro del brand; varie performance improvvisate davanti ai capolavori dell'arte europea, diventati il bersaglio degli attivisti contro il cambiamento climatico e lo scontro tra Jean Paul Gaultier e gli Uffizi per la riproduzione della Venere… non ci siamo di certo annoiati! A rendere ottobre ancora più interessante è stata l'udienza davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti per il caso che vede scontrarsi la Fondazione Andy Warhol e l'artista Lynn Goldsmith sulla definizione dell'uso consentito delle opere d'arte.
L'antefatto
Il 12 ottobre 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha tenuto l'udienza orale per il caso Warhol Foundation vs Goldsmith che riguarda i diritti d'autore per la fotografia dell'artista Lynn Goldsmith scattata all'icona pop Prince nel 1981. La foto è stata poi utilizzata, dietro licenza, per un articolo su un numero di «Vanity Fair» del 1984 dedicato all'artista pop. «Vanity Fair» aveva chiesto a Warhol di utilizzare la foto per creare un'illustrazione di Prince per accompagnare lo stesso articolo. Dopodiché Warhol avrebbe utilizzato lo scatto di Goldsmith come base per lavori aggiuntivi creando 16 opere, sulle quali, dal 1987, la Andy Warhol Foundation for the Visual Arts (“Fondazione”) possiede i diritti di proprietà intellettuale. Dopo la morte di Prince avvenuta nel 2016, la Fondazione ha concesso in licenza “Orange Prince” di Warhol a «Vanity Fair». Solo a quel punto Lynn Goldsmith è venuta a conoscenza dell'esistenza di una serie di Warhol su Prince basata sul suo scatto. Nel 2017, dopo trattative infruttuose, la Fondazione ha citato in giudizio la Goldsmith, chiedendo che venisse dichiarato che Warhol non aveva violato nessun copyright con il suo lavoro. La Goldsmith, invece, si era opposta con domanda riconvenzionale per far valere la violazione del suo copyright.
La causa legale
Nel 2019, tramite rito abbreviato (“summary judgment”), il Giudice Distrettuale Federale degli Stati Uniti, John G. Koeltl, ha deciso a favore della Fondazione ritenendo che i lavori di Warhol fossero coperti dalla difesa del fair use (Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. v. Goldsmith, 382 F. Supp. 3d 312 (S.D.N.Y. 2019). Contro il giudizio del Secondo Distretto era ricorsa Goldsmith, ottenendo un ribaltamento della decisione del primo grado: la Corte d'Appello del Secondo Circuito ha, infatti, annullato la sentenza nel marzo 2021 (Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. v. Goldsmith, n. 19-2420-CV, 2021 WL 1148826 (2d Cir. 26 marzo 2021). La Fondazione ha quindi proposto ricorso davanti alla Corte Suprema. Il Governo Federale (Department of Justice, “DOJ”) è intervenuto nel contenzioso presentando un amicus curiae, una memoria ancillare che supporta, in parte, la posizione di Goldsmith.
Il test per il “fair use”
Negli Stati Uniti il copyright è limitato dalla dottrina (difensiva) del cosiddetto “fair use” che è un'eccezione alla regola. Nello specifico, alcuni “usi” del materiale posto sotto copyright, quindi di norma protetti, fatti per commentare, criticare, educare, per riportare news o per la ricerca sono consentiti perché ritenuti “fair”, quindi giusti (Sezione 107 del Copyright Act). La giurisprudenza ha via via elaborato un test per determinare se un uso rientra sotto l'ombrello del “fair use”, si tratta di un test a quattro punti. Il primo fattore ad essere analizzato è il carattere dell'uso che si fa del materiale protetto; le Corti tendono a favorire “usi trasformativi”. Il secondo fattore riguarda la natura del materiale protetto (non pubblicato, pubblicato, corrispondenza privata, manoscritto, ecc.). Il terzo è un fattore quantitativo e prende in considerazione la quantità utilizzata del bene protetto e la sostanza. Infine, il quarto fattore è l'impatto sul mercato derivato dall'uso del lavoro protetto. Nella fattispecie, si indaga se chi ha fatto uso del materiale protetto avrebbe potuto chiederne licenza e questa possibilità rema contro l'applicazione della difesa del “fair use”.
L'uso preso in considerazione dalla Corte
La Corte Suprema ha dapprima voluto chiarire quale dei due usi contesi avrebbe rappresentato l'oggetto della lite: se l'uso fatto da Warhol al momento della creazione dei suoi lavori nel 1984 o quello fatto dalla Fondazione che ha licenziato uno di quei lavori a «Vanity Fair» nel 2016. L'udienza si è incentrata prevalentemente sul secondo uso, cioè sull'uso per l’articolo di «Vanity Fair» del 2016. Si tratta infatti di un “uso” che ha necessariamente posto l'opera di Warhol e quella della Goldsmith in competizione, poiché «Vanity Fair» avrebbe potuto scegliere tra molte altre immagini dell'artista, tra cui quelle di Goldsmith. L'uso della riproduzione di un'opera d'arte e di una fotografia in una rivista ha uno scopo, un motivo commerciale identico. Per i legali della Fondazione (Roman Martinez di Latham & Watkins) la richiesta della Fondazione è eccessiva, infatti, sembrerebbe che l'ingiunzione per impedire “la riproduzione, la messa in mostra anche nei musei, la vendita o la concessione di licenza” non riguardi soltanto l'opera licenziata a «Vanity Fair» ma tutte le 16 opere di Warhol ritraenti la pop star. Dal canto suo, l’avvocato di Goldsmith, Lisa Blatt di Williams & Connolly, ha cercato di rassicurare la Corte sul fatto che il caso non rappresenta un rischio per la Fondazione perché quando le opere entrano in un museo o in una collezione queste non competerebbero più con la fotografia della Goldsmith e in quel momento sarebbero protette dal “fair use”. La difesa della Goldsmith ha ulteriormente affermato di aver rinunciato ad ogni rimedio esperibile per quanto riguarda l'esposizione nei musei, il possesso e la vendita delle 16 opere, il pomo della discordia resterebbe unicamente la licenza per la riproduzione a scopo commerciale delle opere, cioè non soltanto la licenza commerciale del 2016 a «Vanity Fair», ma anche “altre licenze editoriali commerciali simili, quindi per l’utilizzo di riviste”. Nello specifico, secondo l'avvocato della fotografa, la stessa opera d’arte derivata può essere oggetto di un “uso” corretto in alcune applicazioni ma non in altre e, in tal caso, i tribunali dovrebbero analizzare lo “scopo” originale al momento della creazione (es. critica alla società) rispetto a uno “scopo” successivo associato con una particolare opportunità di licenza (es. immagine identificativa dell'artista, sostituibile da una fotografia).
Il carattere dell'uso
La Suprema Corte è poi passata al primo punto del test del fair use andando ad indagare se l'opera derivata sia trasformativa, cioè se abbia un significato o un messaggio diverso dal materiale di partenza o se, invece, derivi in modo chiaro dall'originale, come ha sostenuto il Secondo Circuito. In realtà, essendo i quattro fattori intrecciati tra loro, l'analisi del primo (e più importante) dei criteri del fair use, impugnato davanti alla Corte Suprema, ha coinvolto anche gli altri. Molti giudici federali avevano già ritenuto l'analisi del primo fattore fatta dal Secondo Circuito “troppo restrittiva” per quanto riguardava il significato e il messaggio dell'opera di Warhol. L'avvocato di Goldsmith ha chiesto che la Corte non si soffermi troppo sull'indagine del messaggio, ma su “se un nuovo significato o messaggio potrebbe essere ragionevolmente percepito”. Il DOJ ha messo in guardia la Corte sui pericoli di uno standard di fair use che “richieda ai tribunali di indagare il significato dell’arte”, esortando che “se trasmettere un significato diverso conferisce licenza di copiare questo potrebbe avere effetti distorsivi, come autorizzare sequel, spinoff e adattamenti sotto il fair use”. Secondo il presidente della Corte Suprema John Roberts le opere hanno scopi molto diversi: “quando guardi le due opere, non dici: ‘oh, ecco due foto di Prince', ma dici che quella [di Goldsmith] è una foto di Prince, e questa [di Warhol] è un’opera d’arte che invia un messaggio sulla società moderna”. L'avvocato di Goldsmith nel respingere questa interpretazione (ritenuta “folle”) ha precisato che nel 2022 le fotografie possono essere facilmente modificate per assumere significati diversi; la fotografia secondo la difesa della parte resistente “è una categoria particolarmente vulnerabile e andrebbe protetta”.
Il requisito di necessità
Imboccati da Blatt e dal DOJ, alcuni giudici hanno ritenuto opportuno dimostrare il requisito della necessità, cioè che per Warhol era necessario prendere in prestito l'opera di Goldsmith e che non avrebbe potuto ottenere o attendere il rilascio di una licenza. La giudice Elena Kagan ha espresso scetticismo sul fatto che casi precedenti contenessero un tale requisito e anche perché un uso trasformativo potrebbe anche non essere necessario. Secondo l'avvocato del DOJ, “il fair use deve giustificare il perché si è copiato, quel lavoro non può semplicemente essere un’aggiunta creativa al mondo delle aggiunte creative”. Il Governo Federale si è detto preoccupato per i diritti sul lavoro derivato, “tante opere derivate possono essere descritte come veicolanti nuovi significati o messaggi”, ma senza una “giustificazione per la copia, gli artisti devono ottenere una licenza”. Sentite le parti i giudici della Corte Suprema hanno cercato di definire la formulazione proposta dal Governo di questo nuovo requisito di “necessità” stabilendosi infine sulla frase che richiede un uso “necessario o quantomeno utile per raggiungere uno scopo distinto [da quello dell'opera originale]”. Il legale della Fondazione ha ritenuto il diritto di difesa leso sul punto perché se avesse saputo di questo requisito avrebbe prodotto del materiale o si sarebbero difesi sul punto.
Il quarto fattore non è in gioco
Per quanto riguarda il quarto criterio del fair use, cioè la concorrenza sullo stesso mercato delle due opere: l’originale e la derivata, il giudice Sotomayor ha chiesto all'avvocato della Fondazione, Martinez, se questo fattore non bastasse da solo a distruggere la sua difesa. In fin dei conti la Fondazione ha concesso in licenza direttamente a «Vanity Fair» l'opera di Warhol e l'opera sulla rivista ha l'unico scopo di rendere individuabile la pop star. Questo è esattamente ciò che avrebbe potuto fare la fotografia di Goldsmith. La riproduzione delle due opere in una rivista, a differenza che in un museo, ha lo stesso scopo. Tuttavia non essendoci stato ricorso sul quarto fattore davanti alla Corte Supreme, come chiarito da Marinez, l'analisi di questo punto non avrà luogo.
Quali conseguenze
Per i fotografi è problematico se la Corte Suprema dovesse emettere una decisione che suggerisce che qualsiasi resa artistica che modifica anche parzialmente una fotografia possa rientrare all'interno del fair use e quindi essere ammessa. Questo minaccia il controllo che il fotografo ha sulle sue foto. Dall'altro canto, invece, se la Suprema Corte dovesse dare ragione a Goldsmith, diventerebbe difficile per gli artisti della corrente ready-made ottenere una licenza per tutte le opere pre-esistenti che dovessero incorporare nelle loro opere derivate, oggi protette dal “fair use”. Anche per l'accademia o per chi gestisce le licenze la questione si complica perché si dovrà capire dove sia il limite tra “fair use” e “non fair use” e quali scopi cadano dentro la difesa. Restiamo quindi in attesa della decisione che verrà pubblicata nei primi mesi del 2023.
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