“Fallen Leaves”, tutta l'umanità di Aki Kaurismäki in un film ricco di emozioni
In concorso sulla Croisette il nuovo lungometraggio del regista finlandese. Delude in competizione Karim Aïnouz con “Firebrand”
di Andrea Chimento
I punti chiave
2' di lettura
Era uno dei film più attesi del Festival e non ha deluso le aspettative: stiamo parlando di “Fallen Leaves”, nuovo film di Aki Kaurismäki, tornato dietro la macchina da presa sei anni dopo “L'altro volto della speranza”.
Il regista finlandese racconta di un uomo e di una donna che si incontrano una notte a Helsinki. I due hanno vite difficili, segnate dal disagio e dalla precarietà, ma il loro incontro sarà l'inizio di una storia che li aiuterà ad amare di nuovo.
Quarto capitolo di film dedicati da Kaurismäki al tema del proletariato, dopo “Ombre nel paradiso” (1986), “Ariel” (1988) e “La fiammiferaia” (1990), “Fallen Leaves” è una delicatissima e tragicomica storia d'amore perfettamente nelle corde del regista scandinavo.Sempre più essenziale e minimalista, lo stile dell'autore finlandese è sempre indirizzato a costruire le immagini migliori per inquadrare i suoi personaggi: il taglio è spesso pittorico, tanto da ricordare i quadri di Edward Hopper, così come la scelta delle luci e dei colori messi in scena.
Le citazioni
Kaurismäki propone nel suo film tantissime citazioni, compresa una per l'amico Jim Jarmusch, del quale viene proiettato in un cinema l'ultimo lungometraggio, “I morti non muoiono”. Gli omaggi poi vanno al passato, con diversi riferimenti all'amato Robert Bresson (maestro proprio di quel minimalismo di cui Kaurismäki è oggi uno dei massimi discepoli), a Jean-Luc Godard e uno magnifico, poetico ed emozionante a Charlie Chaplin, da sempre una delle grandi ispirazioni del regista.“Fallen Leaves” tocca così corde davvero profondissime, mostrando le difficoltà del mondo del lavoro e raccontando di un universo dove alla radio si sentono di continuo le agghiaccianti notizie della guerra in Ucraina. Nonostante la cornice ricca di elementi drammatici, Kaurismäki trova come sempre la giusta ironia, riuscendo a dare vita a una pellicola umanissima e appassionante. Da premiare.
Firebrand
Piuttosto deludente, invece, è “Firebrand” di Karim Aïnouz, presentato anch'esso in concorso.Al centro della pellicola c'è Catherine Parr, sesta e ultima moglie di Enrico VIII, nonché l'unica che morì dopo di lui. Completamente sottomessa ai voleri del dispotico marito, la donna spera di riuscire, un giorno, a migliorare la propria difficile condizione.Riscrittura al femminile della celebre vicenda storica, “Firebrand” è un film in costume che non riesce a scuotere come dovrebbe.Lo stile generale è troppo monotono per poter quantomeno coinvolgere e non c'è l'ombra di un guizzo artistico da ricordare: si nota presto come la pellicola sia un compitino discretamente eseguito nella messinscena a cui manca però del tutto un respiro cinematografico realmente degno di nota.Si salva la rappresentazione di Enrico VIII, molto ben interpretato da Jude Law, mentre Alicia Vikander nei panni della protagonista è decisamente fuori parte.Alla sua prima prova con una produzione in lingua inglese, il regista brasiliano sembra piuttosto spaesato ed è un vero peccato, visto quanto ci aveva commosso ed emozionato con il suo precedente “La vita invisibile di Euridice Gusmão”.
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