Fallimenti in risalita dopo 18 mesi di calo. Le difficoltà dell’industria
Nel secondo trimestre crisi della manifattura, dove il dato è in crescita del 5,2%. Si assiste a un balzo delle liquidazioni volontarie. Coinvolti 81mila addetti
di Luca Orlando
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L’inversione di rotta, dopo 18 mesi, alla fine arriva.
Per la prima volta da settembre 2021 i fallimenti in Italia tornano a risalire, con i dati Cerved ad indicare un inasprimento che coinvolge anzitutto l’industria.
L’aumento medio del secondo trimestre rispetto allo stesso periodo 2022 è limitato all’1,5%, che sale però al 5,2% nell’area manifatturiera, mentre nel settore delle costruzioni si registra un calo.
Se i livelli assoluti sono ancora sotto controllo a 2.070 unità, più che dimezzati rispetto ai picchi del 2014, quando in un solo trimestre fallirono quasi 4500 aziende, si tratta comunque di un segnale di difficoltà da non trascurare.
A fallire, in particolare, sono le Pmi, come già evidenziato nel 2022 dalla crisi di liquidità e dall’allungamento dei tempi di pagamento verso i fornitori.
A guidare i numeri sono soprattutto le ditte individuali (+27.7%) mentre le società di capitali fanno registrare nel complesso soltanto un lieve aumento (+0.3%), trainato in particolare dalla fascia di aziende tra i 2 e i 10 milioni di euro di fatturato (+44,8%).
A livello settoriale l’industria in senso stretto non primeggia per difficoltà: i più colpiti sono infatti prodotti da forno (+84,6%), alberghi (+50,0%) e attività all’ingrosso nelle costruzioni (+36%), aree che già nel 2022 avevano registrato livelli elevati di indebitamento e un peggioramento delle abitudini di pagamento.
Segnali problematici arrivano però anche da alcuni segmenti chiave della nostra industria, dove spiccano i trend negativi delle lavorazioni meccaniche e metallurgiche (+24%), così come della carpenteria metallica (+23,1%), aziende che hanno in parte subito nel tempo anche gli effetti negativi del caro-energia.
«Nel triennio 2020-22 - spiega l’ad di Cerved Andrea Mignanelli - gli effetti delle crisi e del rallentamento congiunturale non si sono tradotti in un aumento delle uscite dal mercato e delle chiusure di impresa, che hanno registrato sei trimestri consecutivi di riduzione mantenendosi su livelli ampiamente inferiori al pre-Covid. Tuttavia questi dati fanno emergere una chiara inversione di tendenza: inflazione e conseguente forte rialzo dei tassi di interesse, hanno colpito in modo asimmetrico le imprese. Intercettare tempestivamente segnali di allarme e gestire situazioni di crisi, avvalendosi di dati, algoritmi predittivi e tecnologia, è sempre più fondamentale».
Il trend di risalita dei fallimenti avviene in coincidenza di una fase di rallentamento economico evidente e rappresenta in fondo un esito prevedibile rispetto al quadro che si va consolidando. Fatto di consumi più deboli, investimenti frenati dal caro-tassi, un mercato meno tonico, come segnalato dalle imprese nelle ultime rilevazioni Istat sulla fiducia: se fino a pochi mesi fa l’ostacolo principale per produrre era rappresentato dalla mancanza di componenti, ora il freno più frequente è la debolezza della domanda.
L’impatto di questa situazione è però ancora asimettrico, sia in termini settoriali, come si è visto, che geografici. Con Nord-Est (+12,1%) e Centro (+11,6%) a guidare la crescita dei fallimenti, mentre si registra un calo altrove (-4% nel Nord Ovest, -7,1% nel Mezzogiorno). A livello regionale, la migliore è la Valle d'Aosta (-33,3%, la peggiore il Molise (+85,7%), escursioni ampie che tuttavia partono da valori assoluti molto ridotti.
Discorso a parte meritano le liquidazioni in bonis, risultato di scelte volontarie e non obbligate, che probabilmente risentono di un peggioramento delle aspettative imprenditoriali. Qui, pur proseguendo in un trend già in crescita, l’aumento è decisamente più sensibile, superiore al 26%, (quasi 10.500 casi) fenomeno determinato in particolare dalle Pmi con ricavi tra 2 e 10 milioni di euro.
I maggiori incrementi riguardano le costruzioni (+33%), forse non a caso in parallelo ad una rimodulazione al ribasso degli incentivi, seguite da servizi (+26.2%) e dall’industria (+22,8%).
Quale l’impatto di questa risalita delle crisi ? I posti di lavoro coinvolti dalle aziende fallite nel trimestre sono pari a poco meno di 18mila ma salgono a 81mila tenendo conto anche delle liquidazioni volontarie.
Nel complesso si tratta di una massa di imprese capaci di generare oltre un miliardo di valore aggiunto, ora svanito.
Se il sistema produttivo in Italia inizia a patire gli effetti del rallentamento economico, altrove in Europa il quadro non è molto diverso.
Nel secondo trimestre, infatti, le dichiarazioni di bancarotta crescono per il sesto periodo consecutivo, un progresso dell’8,4% rispetto al trimestre gennaio-marzo, crescita che coinvolge le maggiori economie tra cui Germania e Francia e che porta il valore assoluto ai massimi dall’avvio delle serie storiche nel 2015.
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