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«Fare squadra per l’innovazione»: anche l’Italia è un Paese per start up

Lasciare da parte gli individualismi, avere più coraggio, pensare nell’ottica internazionale: così pure in Italia possono nascere unicorni

di P.Sol.

Ap

2' di lettura

«Bisogna fare sistema tra tutti i soggetti abilitatori dell'innovazione, mettere a fattore comune le esperienze lasciando da parte gli individualismi e puntando a scalare a livello di dimensioni». Giovanni Tamburi sintetizza così quello che ha bisogno oggi il sistema dell'innovazione italiano per creare valore e start up a livello internazionale.

E non si risparmia anche un'autocritica, lui che con la sua Tamburi Investment Partners è uno degli attori che potrebbe essere enabler di un ecosistema nazionale: «È necessario avere più coraggio, anche come investitori – ammette -. Io stesso potrei fare di più: ora abbiamo un veicolo specifico per l'incubazione di start up, ma parliamo solo di cento milioni».

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Tamburi ha chiuso così la sessione dedicata al consolidamento dell'ecosistema delle start up con la creazione anche in Italia di unicorni, di società con valutazione superiore al miliardo di dollari, nell’ambito del Festival dell’economia di Trento.

Gli investimenti in innovazione hanno registrato un'accelerazione sotto la spinta dell'emergenza epidemica: la digitalizzazione dei servizi sperimentata in lockdown ha fatto lievitare a 700 miliardi di dollari la raccolta a livello globale nel corso del 2021 e anche quest'anno è iniziato all'insegna dell'ottimismo, con 145 miliardi nel primo trimestre, anche se con un generale rallentamento delle valutazioni. In questo scenario il Sud Europa e l'Italia con essa sono il fanalino di coda con 3,8 miliardi nel 2021.

Ma il clima sta cambiando e anche il nostro Paese sta accelerando sulla strada dell'innovazione, come sottolinea Paolo Gualtieri, docente dell'Università Cattolica, che torna a ribadire l'importanza dell'ecosistema: «Le start up di successo nascono vicino all'università e nell'indotto di Big tech, anche se oggi dobbiamo registrare con qualche preoccupazione che il sistema globale finisce per premiare, a livello di ricadute finanziarie, gli investitori rispetto ai fondatori».

Ma che la creazione di innovazione sia possibile lo dimostra una realtà come Scalapay, attore italiano “di ritorno” del “buy now pay later”, nata in Australia, dove la forma di rateazione dei pagamenti era già un fenomeno di grande successo, ed esportata in Italia sulla convinzione che il nostro mercato sarebbe stato ideale per questa nuova soluzione.

La pandemia ha accelerato la spinta verso le soluzioni di pagamento per l'online e anche i merchant hanno spinto sull'ecommerce: l'analisi di cosa può funzionare in un mercato come quello italiano, unito all'adattamento alle specifiche esigenze ha permesso di trasformare Scalapay in unicorno proprio alla fine del 2021.

Ma anche una realtà più giovane come Smace, che punta all'offerta di “smart working as a service”, di un ufficio diffuso sulla base delle esigenze delle singole aziende può sfruttare la scia della fine dell'emergenza per favorire soluzioni ideali di lavoro per i dipendenti e per le aziende, con un servizio che anche in questo caso si evolve ascoltando il mercato.

«C'è da costruire una cultura vera sulle start up e sul valore che creano – sostiene Marco Gay, Ceo di Digital Magics -: l'open innovation è un percorso di successo reciproco che favorisce il confronto con il mercato e la centralità del cliente nel servizio. Anche perché oggi per una start up innovativa la dimensione della scalabilità internazionale è fondamentale».

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