Farmaci, con l’aumento dei costi difficoltà a produrre quelli con prezzi e margini più bassi
Tra le cause più frequenti, mancanza e shortages di materiali e l’incidenza di energia e gas, secondo un’indagine di Farmindustria. Nel 2022 record assoluto di esportazioni
di Cristina Casadei
I punti chiave
7' di lettura
L’industria farmaceutica ha chiuso il 2022 con un record assoluto delle esportazioni, confermando la crescita superiore al 44% del valore dell’export dei primi dieci mesi, con un saldo estero attivo per 6,7 miliardi di euro. Crescita a due cifre anche per la produzione che nell’anno appena chiuso supererà la soglia del +10%, in linea con il dato Istat relativo ai primi dieci mesi (+10,7%). Partendo da questi elementi, dagli ordini e dalle considerazioni delle imprese, il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, fa previsioni positive per i primi mesi del prossimo anno. Non si lascia però prendere da facili entusiasmi ed elenca i molti “ma”, soprattutto sul fronte regolatorio e dei prezzi che rischiano di minare la competitività del settore e l’attrattività del nostro paese per gli investitori esteri, in un momento in cui i paesi stanno rafforzando la spesa dei farmaci e ci sono aree emergenti, come la Penisola Arabica che, grazie alle loro risorse e alla flessibilità regolatoria, nei prossimi dieci anni, attireranno le imprese e i migliori talenti.
L’incidenza dei costi sulla produzione
«A dicembre 2022 il prezzo del gas è tre volte superiore la media del 2021 e nel corso dell'anno ci sono stati picchi di aumento del 600%. A questo si aggiunge il fatto che per i principi attivi il nostro paese dipende per il 75% dal far east, da Cina e India in particolare. Un quadro che non facilita gli approvvigionamenti, soprattutto in questa fase. L’aumento dei costi di tutti i fattori della produzione e le difficoltà negli approvvigionamenti generano significative difficoltà a produrre per il 20% dei volumi», dice Cattani. Nelle scorse settimane abbiamo visto scarseggiare una serie di farmaci come per esempio gli antinfiammatori, gli antipiretici, gli antipertensivi, i diuretici, gli antibiotici di cui c’è stato un incremento forte della domanda per via degli alti livelli che hanno la circolazione di influenza e Covid. Si tratta di farmaci che «hanno prezzi molto bassi e con margini che sono stati abbattuti dall’incremento dei costi che ha creato un tema di sostenibilità produttiva. Di questo passo le aziende rischiano di chiudere. I farmaci cosiddetti etici in Italia hanno i prezzi medi più bassi d’Europa e hanno avuto un decremento del prezzo dell’1% a fronte di tutti gli aumenti che abbiamo affrontato. Questo lascia comprendere che la sostenibilità della produzione e la carenza di farmaci sono correlate», aggiunge il presidente di Farmindustria.
Le cause delle difficoltà produttive
Tra le cause più gravi e frequenti delle difficoltà produttive lamentate dalle aziende farmaceutiche ci sono la mancanza e gli shortages materiali nel 94% dei casi, l’aumento dei costi per energia e gas nell’89%, l’aumento dei costi dei fattori produttivi non energia/gas nell’81%. «In una scala da 1 a 10 le aziende segnalano un livello di gravità pari in media a 7,3 – osserva Cattani -. Per tutti gli input produttivi del resto i costi sono cresciuti di oltre il 50% in un anno, mettendo sotto pressione le aziende, con i prezzi dei farmaci rimborsabili che sono in calo dell'1% rispetto al 2021».
Il fronte regolatorio
In Italia c’è da sempre un tema di regole su cui per Farmindustria è necessario agire con un’ottica nuova, partendo dal presupposto che «i farmaci sono un investimento per i benefici diretti e indiretti che possono generare - sostiene Cattani -. Per questo non vi possono essere continui tagli con revisione dei prezzi e dei prontuari terapeutici perché così si mina la sostenibilità produttiva delle aziende in un settore dove c’è una competizione globale molto forte che fa sì che la domanda di principi attivi sia molto alta. Peraltro non va trascurato il fatto che noi paghiamo gli ingredienti attivi in dollari con un effetto detrimentale del cambio che va ad aggiungersi all'inflazione».
Gli imballaggi
Un tema, quello dei principi attivi, che va ad aggiungersi a quello degli imballaggi dei farmaci, ossia carta, plastica e alluminio e del waste packaging. «La proposta di legislazione che vorrebbe portare dal riciclo al riuso è folle. I nostri associati stanno facendo investimenti sui macchinari e deve essere chiaro quali sono necessari. Per il riuso o il riciclo? Chiediamo di mantenere la legislazione attuale, la direttrice principale deve essere quella del riciclo dove abbiamo aziende leader nella produzione di macchinari e tecnologie per imballaggi - sostiene Cattani -. Sono temi complessi che richiedono una visione alta e strategica del Governo per tutelare gli interessi del paese per continuare a garantire salute e sviluppo. Dopo anni di sostanziale immobilismo servono riforme importanti che mettano la salute in una posizione strategica, alzando il livello degli investimenti su questo settore».
Il boom delle esportazioni
Le esportazioni continuano a rappresentare il traino della produzione italiana con una crescita del 44% rispetto al 2021. A maggior ragione durante questi anni difficili, con la pandemia e le dinamiche di crisi, soprattutto il dato dell’export ci conferma «come altri paesi europei si stanno riorganizzando ponendo la salute, con i relativi investimenti e acquisti, nelle dinamiche di potenziamento strategiche per cavalcare le crisi sanitarie. Dal punto di vista congiunturale siamo in un’epoca che non ha precedenti - dice Cattani -. Chi ha più visione sulla salute potrà trarne beneficio rispetto al Pil e alla crescita del Pil, in termini occupazionali e di benessere economico e sociale. Pensiamo solo al fatto che durante il lockdown perdevamo 14 miliardi di Pil al mese, e adesso grazie ai vaccini eccoci qui. E pensiamo a quello che sta accadendo in Cina dove la pandemia e il Covid vengono affrontati a forza di lockdown e conseguenti cali di Pil perché il paese non ha vaccini efficaci e non sta acquistando i vaccini approvati».
L’Italia fabbrica farmaceutica d’Europa
L’Italia è il primo produttore di farmaci in Europa con un valore della produzione di 34,5 miliardi di euro nel 2021. Farmindustria si aspetta un andamento che possa confermare il trend di crescita della produzione del 2022, ossia oltre il 10% in più. Stiamo quindi parlando di un valore di 37 miliardi di euro. La crescita risulta abbastanza diffusa a tutti i territori a maggiore presenza farmaceutica, con picchi superiori alla media in molte province, come per esempio Ascoli Piceno, Parma, Latina, Siena, Monza, L’Aquila, Rieti, Ancona, Brindisi e Pisa. Le regioni dove si registra il maggiore fermento sono le Marche, l’Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia, l’Abruzzo, la Puglia, la Toscana.
Le competenze
Soffermandoci sul valore del settore farmaceutico, le competenze sono sicuramente da considerare un fattore centrale che «vogliamo evidenziare al Governo – spiega Cattani -. Il nostro è un settore leader sia nell’innovazione sia nella produzione. Con 67mila persone, di cui il 90% sono laureati e diplomati e un equilibrio di genere con le donne al 43% del totale. Gli ordini e la produzione traineranno anche il trend positivo dell'occupazione che in 5 anni (2016-2021) è cresciuta dell'8,6%. Anche per questo il Governo deve prestare attenzione al settore, per via del suo posizionamento strategico. Se è vero che impatta in maniera diretta per 2 punti di Pil, lo è anche però che in maniera indiretta l’impatto è di gran lunga superiore».
Le difficoltà regolatorie minano competitività e attrattività
Ci sono una serie di difficoltà con cui ci dobbiamo misurare: si tratta di difficoltà regolatorie che hanno un impatto sulle dinamiche del paese ma che possono condizionare anche il valore dell’export, l’attrattività degli investimenti, l’innovazione. Per questo, dice Cattani, «bisogna potenziare i contratti di sviluppo per sostenere il manufacturing verso i farmaci più innovativi. In Italia è 14 mesi il tempo medio prima che il farmaco venga rimborsato da Aifa. Non mancano altri paesi dove si registrano tempi lunghi, ma se prendiamo la Germania, per esempio, questo tempo è 2 mesi. I tempi del nostro paese sono troppo lunghi. A questo dobbiamo poi aggiungere che il prezzo medio è il più basso d’Europa e che abbiamo anche accessi regionali che complicano il quadro perché le regioni sono 21 e questo crea un rallentamento tra i 4 e i 16 mesi.
Il payback, meccanismo superato
Si arriva così all’annoso tema del payback e di un sistema di governance e finanziamento della spesa farmaceutica che è inadeguato rispetto ai fabbisogno reali. È necessario arrivare a una trasformazione strutturale per mettere più risorse sui farmaci e per superare il payback che pesa per un miliardo e 300 milioni. Noi abbiamo 800 milioni di avanzo nella spesa convenzionata e finisce che le risorse vanno a finanziare altri capitolo di spesa delle regioni. Il payback è un meccanismo superato
La cabina di regia
L’auspicio di Farmindustria è che si arrivi a una cabina di regia strategica del settore che «possa legare le regole della salute agli impatti sulla filiera farmaceutica in ottica strategica e di superamento del payback, oltre che di incremento delle risorse pubbliche sui farmaci per essere competitivi nel medio e lungo termine. Gli Emirati Arabi nei prossimi dieci anni saranno un hub di riferimento nel far east. Hanno capitali e flessibilità regolatori: devono solo attrarre le competenze. Noi non saremo mai così attrattivi ma dobbiamo capire, come Paese, che il mondo è profondamente cambiato e la dinamica competitiva riguarda anche il personale sanitario. I giovani saranno attratti da paesi che oltra a pagare stipendi migliori, offriranno condizioni di vita e di lavoro migliori per chi fa ricerca perché la incentivano maggiormente», sostiene Cattani.
Il caso della ricerca clinica
Un esempio delle nostre difficoltà regolatorie è dato «dall’attesa del recepimento di 3 decreti legati al nuovo regolamento europeo per la ricerca clinica del 2014 che sarà effettivo dal 31 gennaio dell’anno prossimo – racconta Cattani -. Siamo l’unico paese europeo a non averlo recepito e questo pesa sul diritto dei cittadini a curarsi. Le nostre aziende investono in ricerca 1,7 miliardi di euro all’anno, di cui 700 milioni in ricerca clinica. Oltre che a garantire un diritto dei cittadini, questo è un grande beneficio per il sistema. Ogni euro investito in ricerca clinica genera infatti 3 euro di benefici. Servono regole nuove e riforme nella ricerca clinica che sostengano l’industria farmaceutica. Ricordando che il settore è fondamentale anche in Europa dove conta oltre un milione di addetti anche se la sua forza è sempre più messa in discussione dalla competizione globale. Basti ricordare che oggi su dieci farmaci approvati da Ema, 5 sono americani e 2,2 cinesi».
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