Farmaci, robot e app mediche per una storia manageriale diversa dalle altre
Lo so che ci sarà sempre il retropensiero. Io sono l’amministratore delegato del gruppo Angelini e sono il marito di Thea Paola, la figlia di Francesco Angelini. Non importa. Contano adesso i risultati.
di Paolo Bricco
6' di lettura
«Lo so che ci sarà sempre il retropensiero. Io sono l’amministratore delegato del gruppo Angelini e sono il marito di Thea Paola, la figlia di Francesco Angelini. Non importa. Contano adesso i risultati. Conta il mio percorso professionale da professore e da avvocato d’affari prima di incontrare mia moglie e di decidere insieme che poteva avere un senso per me entrare in azienda. Contano i meccanismi di governo societario. Con un consiglio di amministrazione formato, oltre che da me e da Thea, da esponenti molto autorevoli del settore. E con una managerializzazione del gruppo sempre più intensa. Per esempio, con la costituzione di un dipartimento per l’M&A, le fusioni e le acquisizioni, di una ventina di specialisti, che ci rende indipendenti dalle banche d’affari e dalle società di consulenza nei nostri progetti di crescita per linee esterne». Sergio Marullo di Condojanni parla con tranquillità della sua condizione di marito («siamo entrambi molto religiosi, ci siamo sposati nel 2017 dai francescani di Assisi, i nostri figli sono Francesco di tre anni e Maria di due anni, ci piacerebbe tanto allargare ancora la famiglia») e di amministratore delegato («io non ho una azione, l’impresa è al 100% della famiglia Angelini, non esiste alcun socio di minoranza»), anche se per una volta – a pagare il dazio del pregiudizio – è un uomo e non una donna.
Siamo nella sede del gruppo Angelini Industries di Viale Amelia, un tempo campagna fuori Roma, inghiottita dall’espansione della città e trasformata dagli anni 70 in un quartiere popolare e tranquillo. Qui si rinnova la tradizione delle foresterie dove un tempo consumavano con gli ospiti i loro pranzi gli industriali e i banchieri italiani. In questa assonanza funzionale, esiste una dimensione di affinità evolutiva fra la Pirelli dei Pirelli e la Fiat degli Agnelli e le multinazionali sbocciate dal medio capitalismo famigliare italiano durante il periodo aureo della globalizzazione negli anni 90, che stanno cercando una istituzionalizzazione anche del desinare e del ricevere.
L’antipasto è notevole: capesante con zenzero candito e pepe rosa, gocce di crema di piselli alla menta con bianco di seppia ed il suo nero, anello di pasta fredda con scampi e caviale, parmigiana scomposta al cucchiaio e gambero in tempura con salsa in agrodolce.
Sergio Marullo di Condojanni ha una personalità strutturata. In un Paese segnato da secoli di maschilismo antifemminile, lui contrasta il paradossale rovesciamento delle parti in due modi che contribuiscono in maniera decisiva allo sviluppo della Angelini. Il primo è operativo-strategico: si realizza nei risultati e si sostanzia con la trasformazione in azione industriale di un percorso professionale non banale, condotto per la prima parte con Natalino Irti, uno degli avvocati di ambiente romano di maggiore spessore culturale e allo stesso tempo più coinvolti in contratti, arbitrati e consigli di amministrazione. Il secondo – più psicologico, ma nella complessità della sua posizione non meno importante – è il profilo del suo specifico ceppo di provenienza, che appartiene alla tradizione delle famiglie siciliane che non hanno avuto un epilogo alla Gattopardo. La maggior parte di loro è finita – per ricchezza e posizione sociale – come il cane del principe di Salina: «Se si fosse ben guardato nel mucchietto di pelliccia tarlata si sarebbero viste due orecchie erette, un muso di legno nero, due attoniti occhi di vetro giallo: era Bendicò, da quarantacinque anni morto, da quarantacinque anni imbalsamato, nido di ragnatele e di tarme, aborrito dalle persone di servizio che da decenni ne chiedevano l’abbandono all’immondezzaio», scrive Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La famiglia di Sergio si è peraltro sottratta a questo finale.
In tavola viene servita pasta con pesto, fagiolini e pinoli tostati. Il vino è un Bertani Soave Original Vintage del 2021. La famiglia di Sergio non è stata inghiottita dalla Storia, ma è ben inserita nel Novecento siciliano e italiano. E, quindi, nella strutturazione della sua personalità avere un passato influisce, senza però renderlo ciecamente vanitoso: «Le famiglie di mio padre e di mia madre sono antiche. Proprietari terrieri da parte di mio papà Francesco. Nobili di origini normanne da parte di mia madre Michaela, che è una Stagno d’Alcontres. I terreni su cui sorse la raffineria dell’Eni a Milazzo nel Secondo dopoguerra erano in origine nostri. La nostra azienda agricola è a Milazzo, dove abbiamo diecimila piante di ulivo, limonaie e aranceti». Il nonno materno Ferdinando era un democristiano eletto nel 1955 deputato all’Assemblea regionale siciliana e nominato assessore al Bilancio e all’Agricoltura, che nel 1963 diventa presidente della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele, la banca di proprietà della Regione Siciliana. Il nonno paterno Sergio nel 1951 è eletto deputato all’Assemblea regionale siciliana nelle liste del Movimento Sociale Italiano. Nel 1955 è rieletto, ma nel Partito Nazionale Monarchico, e nel 1958 partecipa come assessore al turismo e allo sport della prima giunta di Silvio Milazzo, che costruisce una coalizione priva della Democrazia Cristiana. Nel 1964 aderisce al Psiup e nel 1968 entra in Senato come indipendente nelle liste del Partito Comunista: «Era un personaggio imprevedibile e carismatico. Un grande oratore che riempiva le piazze di siciliani di ogni ceto sociale, dai maggiorenti come lui ai contadini. Lo chiamavano il barone rosso».
Fino ai diciotto anni Sergio è a Messina, dove studia al Collegio Sant’Ignazio: «L’intero lato materno della mia famiglia si è formato per generazioni dai gesuiti di Messina, che avevano tutti i cicli di studi fin dalle elementari, unico dispiacere era l'assenza del liceo classico, anche se nei primi due anni dello scientifico avevamo lo studio integrativo del greco antico». Per l’università, sceglie Roma anziché Milano: «Pensavo al corso di Economia dei mercati finanziari alla Bocconi. Mia madre era sempre stata molto legata al suo cugino primo, Antonio Martino. Martino, che era ministro degli Esteri nel primo governo Berlusconi, mi convinse a iscrivermi alla sua Luiss, dove lui insegnava economia politica e dove era stato preside, spiegandomi che la formazione da giurista molto spesso era una ottima base culturale e interpretativa per i fenomeni economici, tanto che lui stesso era laureato in legge, e che da loro esisteva un corso in giurisprudenza costruito così da ottenere anche la laurea in economia con altri due anni di studi».
Il secondo è un bianco di rombo con zucchine marinate e asparagi glassati al sesamo. Dopo la laurea e una prima fase di collaborazione con lo studio di Irti, ha preso il dottorato di ricerca in arbitrato interno e internazionale alla Luiss, facendo quindi carriera universitaria – fino all’abilitazione a professore ordinario – a Roma e a Pescara ed esercitando la libera professione: «Anche se, nella vita universitaria, non apprezzavo la lentezza dei percorsi e, nella vita professionale, faticavo molto con l’assoluta mancanza di speditezza della giustizia civile, che era peraltro molto difficile da spiegare ai clienti».
Il passaggio di Sergio Marullo di Condojanni in azienda quattro anni fa – in una vicenda di capitalismo famigliare non ordinata né semplice perché segnata dalla contestazione, da parte della sorella maggiore Maria Gioella, della scelta del padre di assegnare il controllo del gruppo a Thea Paola – è caratterizzato da una rimodulazione organizzativa e strategica insieme graduale e intensa. Nel 2022 i ricavi aggregati sono stati pari a 2,1 miliardi di euro, con un margine operativo lordo del 15 per cento. Il 60% dei ricavi deriva dalla farmaceutica. Il 25% dai beni di consumo. Il 10% dalla robotica e dalla tecnologia industriale. Il resto dai profumi e dai vini.
Il nuovo profilo del gruppo Angelini ha una natura particolare: assomiglia ad una conglomerata con specializzazioni verticali molto rimarcate. Sul farmaco e sulle biotecnologie si è accentuata la dimensione di profondità di mercato, con l’acquisizione dei cerotti Thermacare (160 milioni di euro investiti) e con l’operazione da mezzo miliardo di euro su Ontozry, il farmaco per le forme più gravi di epilessia. «Per costruire uno scenario di prospettiva di lungo periodo – aggiunge Sergio – abbiamo creato un fondo di venture capital da 300 milioni di euro sulla medicina digitale, con team a Roma e Londra, Boston e Singapore. La medicina digitale, con le App e i dispositivi indossabili, è fatta di monitoraggio della salute. La persona non si deve ammalare».
L’elemento di diversificazione verticale è invece rappresentato dalla robotica. Un settore nato dalla necessità di fabbricare le linee produttive per realizzare i pannolini e che, poi, ha preso vita autonoma con un modello di business tecnoindustriale applicabile a ogni comparto della manifattura: «Oggi fatturiamo 220 milioni di euro. L’applicazione dell’intelligenza artificiale agli stabilimenti nella produzione e nella logistica sta alimentando negli Stati Uniti la domanda per fabbriche totalmente automatizzate».
Viene servita una tagliata di frutta. E, poi, arriva una spettacolare goccia di cioccolato fondente con croccante di nocciole, caramello salato e lampone. Beviamo il caffè. E, alla fine del pranzo, la geografia dell’anima italiana – nel suo intrecciarsi fra individui, famiglie e comunità e nei suoi luoghi improbabili e periferici – appare nitida: Ancona dove il 1919 Francesco Angelini apre la prima farmacia, la Sicilia dove le famiglie di antico lignaggio cercano di non essere espulse dai flussi della Storia, Roma con la sua campagna diventata il quartiere Appio Tuscolano, le molecole per curare l’epilessia e le campagne di Milazzo, perché l’Italia è quello strano Paese in cui si formano le fabbriche e in cui fioriscono i limoni.
loading...