svolte in emergenza

Favelli: un patto con lo Stato a garanzia dell’arte visuale

Gli artisti contemporanei non sono presi in considerazione, tranne se fanno scandalo e record in aste o se sono maestri o star. Necessario un cambio di paradigma e di strategia dell’Italian Council

di Francesca Guerisoli

4' di lettura

La crisi in atto sta mettendo in ginocchio gli artisti visivi, ancora privi di specifiche misure di sostegno al reddito per questo periodo e spesso privi di partita Iva (per poter accedere come stabilito dal decreto Cura Italia al bonus dei 600 euro). Le fiere annullate gravano pesantemente sull'economia di molti artisti, anche di quelli ben inseriti nel mercato. Flavio Favelli, le cui opere sono presenti in collezioni pubbliche e private come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo , Fondazione Furla, Collezione Unicredit Banca, MAXXI puntualizza che, da alcuni anni, può sostenersi solo attraverso le fiere. Lo spostamento di Miart per Favelli ha costituito un importante mancato guadagno. Negli anni scorsi l'artista era presente alla fiera milanese con entrambe le gallerie di riferimento – Studio Sales di Norberto Ruggeri e Francesca Minini – con cui, in fiera di solito vende opere dai 20 ai 30.000 euro. “Se vendo per 36.000 euro ne prendo 18.000, giusto il costo annuo dello studio” spiega Favelli.

Negli anni scorsi hai denunciato pubblicamente l'impossibilità per un artista di sostenersi con un lavoro di ricerca indipendente dalle gallerie e dalle fiere. Quali sono, nella tua esperienza, i problemi strutturali per il sostentamento degli artisti in Italia?
Gli artisti non sono presi in considerazione realmente, tranne nei casi di scandalo o prezzi di aste che fanno notizia. L'arte contemporanea è vista come una setta, come una scocciatura e, infine, come una faccenda solo economica. I giornali generalisti quando danno notizie d'arte contemporanea (se non sono recensioni di mostre) fanno vedere solo Street Art perché è la sola che capiscono, ma in realtà è arte di serie b. C'è un problema di linguaggio, di cultura, di istruzione, i giornalisti stessi fanno fatica a comprenderla, oppure si rivolgono a un pubblico che ritengono annoiato. Anche l'intellettuale italiano fa fatica; Tomaso Montanari sul “Venerdì” o parla di arte antica o parla di Street Art esattamente come Vittorio Sgarbi. Quindi, perché si devono sostenere gli artisti che fanno cose che non vengono prese in considerazione, né capite, se non solo quando sono maestri o star? Oppure semplicemente l'arte è veramente finita e non ce ne stiamo accorgendo; in interviste recenti Francesco Vezzoli annuncia un progetto dove “sarà interessante capire come cliccheranno i follower. È lo spettatore che fa l'opera d'arte con la sua risposta”. Non è la fine questa?

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Nel 2017 sei stato tra i vincitori della seconda edizione di Italian Council con l'opera “Serie Imperiale”, ora in comodato d'uso al MAMBO. Come valuti l'Italian Council quale strumento di sostegno e promozione alla ricerca artistica? E quali misure di sostegno economico agli artisti avrebbe senso immaginare?
Per esempio, che le opere alla Collezione Farnesina siano comprate e non in prestito. Ma non vorrei solo chiedere. Proporrei una specie di meccanismo, che suona così. Facendo la somma del reddito dell'artista degli ultimi tre anni, si calcola la media mensile e si divide per due. La cifra che risulta corrisponde allo stipendio mensile che lo Stato dà all'artista. Senza tasse. Dopo un anno, se l'artista ha venduto meno della cifra annuale percepita dallo Stato, è tutelato; se ha venduto di più, il resto va allo Stato. Ogni anno si rivedrà il parametro. Io sarei pronto ad attuare questa formula. Se si chiedono soldi, poi il problema è: a chi vanno? Tutti diventerebbero artisti, scenografi, creativi, e in questo momento populista molti direbbero: e perché? A chi? A quelli che fanno la banana o il taglio sulla tela? Con il caso che ipotizzo si verrebbe a un patto: una reciproca relazione con l'istituzione con cui vorrei avere degli scambi, come l'Italian Council. Con questa proposta/patto vorrei essere preso in considerazione; vorrei, più che essere tutelato, un riconoscimento. Aggiungo che l'Italian Council considera troppo poco l'opera in favore di strategie con promozioni, comunicazioni, attività collaterali, ricadute sul territorio ed eventi: Giorgio Morandi se avesse partecipato non avrebbe vinto.

In queste settimane di chiusura degli spazi espositivi stiamo assistendo a un crescendo di dirette Instagram e Facebook, incontri con artisti, curatori e critici, visite agli studi degli artisti ecc. A quale pubblico si sta parlando? Come il museo d'arte contemporanea dovrebbe ripensarsi per avvicinare cittadine e cittadini, al di là degli addetti ai lavori?
Il rapporto col museo d'arte contemporanea è spesso di uso veloce: la classe dirigente va giusto per la vernice e, invece, bisognerebbe creare una rete con la città. Ma spesso anche per gli artisti il rapporto col museo è solo “a chiamata”, se partecipi alla mostra ci sei altrimenti no. Invece, in mezzo, ci potrebbe essere molto altro. Ad esempio, una serie di incontri fatti dagli artisti al consiglio comunale, ma dovrebbe essere un impegno preso seriamente, non in orario aperitivo. Ad esempio, io sarei disponibile a tenere un corso strutturato in molte ore. In tutto il mondo siamo considerati il paese dell'arte, il Belpaese, prima che il buon paese, e non il paese della chimica e della meccanica. È mai possibile che Eataly che ha cambiato il modo di vedere e consumare il cibo, non vada oltre l'Ultima Cena di Leonardo?

Quando la politica parla degli artisti ignora sistematicamente la categoria degli artisti visivi. Il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, nell'informativa del 6 maggio al Senato sulle iniziative di competenza del Ministero per contrastare il Covid-19, ha parlato degli interventi specifici per gli artisti. In particolare, ha citato gli autori, i lavoratori di teatro, cinema, musica, danza e spettacolo itinerante (giostre e luna park). Come artista, ti senti considerato dalle misure messe in campo per fronteggiare l'emergenza economica?
È certo che l'artista visivo non viene considerato. Si deve riflettere su questo: l'artista o fa notizia o è solo fonte di imbarazzo perché fa progetti difficili e impopolari (in tempi dove i consensi passano nei social ha il suo peso), oppure la sua opera entra solo nel salotto privato per esibirla e per investimento: direi una faccenda da psicanalisi.

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