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Fca: la prova del nove di John Elkann, uomo solo al comando senza più Marchionne

di Marigia Mangano

Addio a Marchionne, Fca in lutto

3' di lettura

«Sergio ha tanti cappelli e continuerà a essere presente e contribuirà al futuro di Exor». Nell'ultimo Investor day della holding di famiglia, l'ipotesi di una separazione così netta e improvvisa dal manager che ha salvato la Fiat, John Elkann non l'aveva mai presa in considerazione. Perché Marchionne sarebbe rimasto, e chissà per quanto tempo, nel board di Exor, dove ricopriva il ruolo di vice presidente esecutivo. E soprattutto perché, una volta compiuta la successione in Fca, si sarebbe dedicato a tempo pieno sui risultati di quello che rappresenta il gioiello e grande motivo di orgoglio per la dinastia sabauda, la Ferrari.

Non esisteva un piano B. La fatalità non era contemplata. Ma il precipitare degli eventi, le complicazioni post operatorie del manager italo canadese e la presa di coscienza del suo “non ritorno” nella galassia Agnelli, hanno imposto scelte rapide.

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Per la prima volta dalla sua designazione alla guida dell'impero di famiglia, John Elkann ha messo in pratica quello che per anni nelle slides di presentazione dei risultati di Exor ha mostrato agli analisti come un caso di studio: la forza del business familiare, con esso includendo le società dove le famiglie azioniste hanno un rilevante potere azionario, superiore al 20% dei diritti di voto.

L'assenza di mediazioni, grazie al controllo pieno da parte di Exor dei gruppi coinvolti nella successione di Marchionne, rafforzato dal meccanismo del voto multiplo olandese capace di allargare in modo significativo il potere del socio di riferimento, ha garantito nel giro di ventiquattrore di ridisegnare l'organigramma di tre gruppi, Fca, Ferrari e Cnh, che insieme, prima del tracollo in Borsa che ha seguito l'annuncio della scomparsa di Marchionne, valevano 60 miliardi di capitalizzazione in Borsa.

Insomma, si è assistito lo scorso week end all'applicazione al livello della struttura proprietaria della filosofia sposata dallo stesso Marchionne nel ruolo di manager, ovvero un uomo solo al comando.

L'attento gestore del patrimonio della famiglia Agnelli, il cui debutto ufficiale nell'organigramma della vecchia Fiat arrivò nel 2004, a pochi giorni dalla scomparsa di Umberto Agnelli e nello stesso momento in cui Sergio Marchionne saliva al comando della vecchia Fiat, è diventato l'unico regista di questo storico passaggio di consegne. Quattordici anni prima il cambio manageriale era stato affidato alle mani esperte e familiari di Gianluigi Gabetti. E da allora John , aveva appena compiuto 28 anni, ha dato piena fiducia a quel manager dal maglione nero che ha cambiato la storia del Lingotto. Ha sempre mantenuto la presidenza di Fca, ma solo in veste di rappresentanza della famiglia perché Marchionne aveva la sua piena fiducia.

I nuovi assetti al vertice di Fca e Ferrari sembrano però voler annunciare che l'azionista, la famiglia Agnelli, per anni un passo indietro rispetto a Marchionne, è ora tornata in prima linea e che questa transizione, non priva di dolore, sarà seguita da vicino da John Elkann, garanzia di continuità tra passato e futuro. Prova ne è che per la prima volta nella storia di Ferrari sotto la proprietà della dinastia sabauda un esponente della famiglia Agnelli ricopre il ruolo della presidenza. Non è mai successo.

Nel 1988, quando l'Avvocato prese il 90% di Maranello, dopo la presidenza del fondatore Enzo Ferrari ,la poltrona è stata occupata da Piero Fusaro (dal 1988 al 1991), da Luca di Montezemolo (dal 1991 al 2014) e da Sergio Marchionne. La presidenza di Elkann segna così un passaggio storico nell'organigramma della Rossa. Che rende l'idea di quanto la Ferrari sia l'asset più caro alla famiglia torinese.

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