ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’escalation dei tassi

Fed e guerra: effetto-tenaglia sul debito dei paesi emergenti

Nel 2021 è salito di 8.500 miliardi dollari, arrivando a quasi 100.000 miliardi, il 31,5% del debito globale. Un campanello d’allarme per molti

di Marcello Minenna

Azzerare i portafogli nei mercati emergenti

8' di lettura

A metà aprile il default dello Sri Lanka – che ha scelto di sfamare la sua popolazione piuttosto che ripagare il debito estero – ha fatto suonare i campanelli d’allarme sul debito dei paesi emergenti costretti in una posizione particolarmente difficile dalla concomitanza tra la stretta monetaria della FED e la guerra in Ucraina.

Da un lato l’irrigidimento della banca centrale USA (proprio in settimana è arrivato un maxi-rialzo da 50 punti base nel tasso di riferimento, il Federal Funds rate) comporterà un inevitabile aumento nel costo di funding per le economie emergenti. Dall’altro, il conflitto tra Russia e Ucraina sta drammaticamente compromettendo la disponibilità di commodities alimentari essenziali per molti paesi emergenti, chiamati ora a pagare prezzi record per approvvigionarsi di questi beni primari.

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Questo complesso quadro si innesta peraltro sui postumi di un biennio quasi altrettanto difficile per via della pandemia, nel quale anche i paesi emergenti sono stati costretti a fare più debito per sostenere le loro economie.

Il boom del debito emergente nel 2021

Il 2021, in particolare, ha visto un notevole incremento del debito dei paesi emergenti. Infatti, mentre nel primo anno di pandemia c’era stato un boom nel debito delle economie avanzate, l’anno scorso sono stati gli emergenti a guidare la classifica. Secondo gli ultimi dati dell’Institute of International Finance (IIF), nel 2021 il debito totale (pubblico e privato) di questi paesi è salito di 8.500 miliardi di dollari a fronte di un incremento molto minore (2.400 miliardi di dollari) nei paesi sviluppati. Complessivamente, il debito dei paesi emergenti ammonta ora a quasi 100.000 miliardi di dollari e rappresenta il 31,5% del debito globale ($ 303.500 miliardi), in aumento di 3,9 punti percentuali rispetto al 2020.

Anche la dinamica recente del rapporto debito/PIL è stata coerente col quadro appena descritto. A livello globale, grazie alla ripresa economica dello scorso anno, il rapporto in questione si è ridotto rispetto al 2020 passando dal 360,4% al 350,9%. Tuttavia, tale riduzione si deve soprattutto al calo del leverage delle economie avanzate (-12,3%), mentre nei paesi emergenti il rapporto debito/PIL è sceso solo del 4,7%.

È utile investigare più in dettaglio la situazione del debito dei paesi emergenti distinguendo tra regioni geografiche e tra settori economici. Dall’analisi dei dati emerge innanzitutto come le economie emergenti dell’Asia siano quelle più indebitate con un leverage complessivo prossimo al 300% del PIL. Di contro, negli altri continenti, il rapporto debito/PIL dei paesi emergenti si colloca in prossimità del 150%, vale a dire circa la metà del dato asiatico. A fare la differenza è soprattutto l’enorme leverage della Cina, pari al 330% del PIL, e la circostanza che – date le dimensioni della sua economia – questo paese di fatto “pilota” l’intero dato dell’Asia. Per inciso, si consideri che – nonostante il governo di Pechino abbia provato (invano) a mettere sotto controllo l’indebitamento di settori come il real estate o le amministrazioni locali – la Cina da sola ha rappresentato circa il 65% dell’intero incremento del debito globale verificatosi l’anno scorso per un controvalore di 7.000 miliardi di dollari.

DEBITO TOTALE IN % DEL PIL PER LE ECONOMIE AVANZATE ED EMERGENTI
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Un’altra evidenza interessante è che – a differenza delle economie avanzate, dove il debito è distribuito in modo abbastanza uniforme tra i diversi settori – in quelle emergenti spicca il peso preponderante delle imprese non finanziarie e del settore pubblico. In dettaglio, il debito corporate risulta dominante nei paesi emergenti asiatici (127% del PIL) ed europei (70% del PIL); in quelli dell’America Latina prevale il debito del settore pubblico (67% del PIL) e, infine, in Medio-Oriente e Africa imprese e pubbliche amministrazioni hanno un peso pressoché equivalente.

Esaminando le variazioni del rapporto debito/PIL intervenute nel 2021, si osserva (cfr. Figura 2) che la regione più “virtuosa” è stata l’America Latina con un calo del 7,6% che ha interessato principalmente il settore pubblico. A seguire troviamo l’aggregato formato da Africa e Medio-Oriente (-5,7%) e infine, nell’ordine, i paesi emergenti di Asia (-4,2%) ed Europa (-3,1%): in tutte queste regioni la riduzione del debito ha riguardato prevalentemente le imprese non finanziarie.

DEBITO TOTALE
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In ogni caso, occorre considerare che nei paesi emergenti il rapporto debito/PIL è ancora superiore di oltre il 27% rispetto ai valori pre-pandemici e che il contesto particolarmente sfavorevole creatosi quest’anno mette seriamente a rischio la sostenibilità del debito per molti di loro.

Secondo le stime dell’IIF quest’anno le economie emergenti dovranno rifinanziare circa 7.000 miliardi di dollari tra obbligazioni e prestiti in scadenza ($ 1.500 miliardi in più rispetto al 2021), il tutto proprio mentre la FED – come si è detto – sta portando avanti un ciclo di rialzo dei tassi particolarmente sostenuto nel tentativo di riportare sotto controllo l’inflazione.

Nuovi rialzi dei tassi contro inflazione e deflussi di capitali

Per sostenere le proprie valute e frenare la spinta inflattiva dovuta ai rincari record di cibo ed energia, le banche centrali di diversi paesi emergenti hanno già rivisto al rialzo i tassi d’interesse di riferimento (cfr. Figura 3). In alcuni casi, come per le economie di Brasile, Sud Africa e Messico, si tratta dell’ennesimo rialzo del costo del denaro dopo quelli decisi già nel 2021 nella prospettiva di non farsi trovare impreparati di fronte alla stretta della FED ed evitare ripercussioni negative come quelle scatenate dal c.d. “Taper Tantrum” del 2013. Per altri paesi, come l’Egitto e l’India (che ha alzato i tassi proprio mercoledì scorso) è invece del primo rialzo da più di due anni ed è chiaramente imputabile al mix tossico creato dalla stance iper-restrittiva della FED e dal conflitto russo-ucraino. In Turchia, infine, la banca centrale non ha alzato i tassi (è nota la posizione del Presidente Erdogan al riguardo), ma quest’anno ha comunque dovuto mettere in stand-by il ciclo di tagli che aveva iniziato lo scorso settembre.

TASSI D’INTERESSE CHIAVE DELLE BANCHE CENTRALI DI ALCUNI PAESI EMERGENTI
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Si tratta ora di capire se i recenti rialzi dei tassi d’interesse basteranno a rendere più appetibili le passività dei paesi emergenti. Ad aprile le emissioni di debito denominato in dollari o euro da parte di questi emittenti sono crollate al livello più basso dell’ultimo decennio e di quasi il 50% rispetto allo stesso mese del 2021. Intanto è già partita la fuga dal debito delle economie emergenti: nella settimana terminata il 27 aprile i fondi d’investimento specializzati in questi mercati hanno avuto un’emorragia di quasi 4 miliardi di dollari (la più grande da aprile 2020), per un totale di 18,7 miliardi di dollari da inizio anno.

L’aumento del premio al rischio

Chi continua ad investire pretende, ovviamente, un premio al rischio più alto. Il rendimento medio sul debito dei paesi emergenti denominato in dollari (misurato dall’indice Bloomberg EM USD Aggregate) gira ormai intorno al 6,5%, in aumento di oltre 200 punti base da inizio anno, con una dinamica ampiamente sovrapponibile a quella del tasso d’interesse sui titoli di Stato USA (cfr. Figura 4).

RENDIMENTO MEDIO DEL DEBITO IN $ DEI PAESI EMERGENTI VERSUS RENDIMENTO DEL DECENNALE USA
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L’aumento del premio al rischio può essere apprezzato anche guardando all’evoluzione delle quotazioni dei credit default swap (CDS) sovrani di larga parte dei paesi emergenti. Salvo pochissime eccezioni, le quotazioni di questi strumenti finanziari derivati (che misurano quanto costa coprirsi dal rischio di credito di un dato emittente) oggi sono nettamente superiori alla media degli ultimi 12 mesi. In termini assoluti, i valori dei CDS sono ancora relativamente contenuti nelle economie emergenti di Europa ed Asia che, rispetto a quelle di altre regioni, hanno uno standing creditizio più simile a quello dei paesi avanzati. Fanno eccezione i due paesi belligeranti (Russia e Ucraina), lo Sri Lanka (già in default sul debito estero) e la Turchia, dove il premio per il rischio di credito è di oltre 600 punti base su un orizzonte di 5 anni.

Passando alle economie emergenti di Africa e America Latina il quadro si deteriora sensibilmente.  In diversi paesi, come Argentina, El Salvador, Ghana, Etiopia e Tunisia le quotazioni dei CDS viaggiano su valori che indicano un’alta probabilità di ristrutturazione del debito sovrano (cfr. Figura 5), misure che si aggiungerebbero a quelle fatte recentemente da Stati come Ecuador e Belize.

QUOTAZIONI DEI CDS SOVRANI A 5 ANNI DI ALCUNI PAESI EMERGENTI AD ALTO RISCHIO DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
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In più, negli ultimi mesi anche emittenti relativamente più solidi hanno mostrato segni di stress: è il caso, ad esempio, di Colombia e Brasile in Sud America ma soprattutto di Kenya, Nigeria ed Egitto in Africa (cfr. Figura 6). Quest’ultimo, in particolare, in quanto primo importatore globale di grano (16 milioni di tonnellate l’anno), è evidentemente tra i paesi che stanno accusando maggiormente il colpo dell’aumento dei prezzi dei cereali causato dalla guerra e il suo CDS a 5 anni ha ormai raggiunto quota 800 punti base.

QUOTAZIONI DEI CDS SOVRANI A 5 ANNI DI ALCUNI PAESI EMERGENTI A RISCHIO MEDIO E MEDIO-ALTO
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Riserve ufficiali in calo nel 2022

Tra i pochi aspetti positivi va segnalato che, dopo la flessione di marzo 2020 legata alla crisi di liquidità scatenata dalla pandemia, i paesi emergenti hanno ripreso ad accumulare riserve ufficiali che sono utilizzabili come risorse di ultima istanza per difendere il tasso di cambio della valuta domestica, ripagare i debiti o fare cassa.

Anche su questo fronte va notato tuttavia che, dopo la fase di forte accumulazione nel periodo aprile-agosto 2021, l’incremento nello stock di riserve ufficiali si è sostanzialmente arrestato a livello aggregato nell’ultimo quadrimestre dell’anno scorso (cfr. Figura 7) e ha lasciato il posto a una nuova fase di erosione nei primi tre mesi del 2022.

ECONOMIE EMERGENTI - RISERVE UFFICIALI DELLE BANCHE CENTRALI VARIAZIONI CUMULATE RISPETTO A FEBBRAIO 2020
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Il ridimensionamento di quest’anno (-133,4 miliardi di $ rispetto a fine 2021, pari a ¼ di quanto accumulato sino ad allora da febbraio 2020) si è concentrato soprattutto nel mese di marzo ed è stato particolarmente severo per l’Egitto (-6,8%), la Turchia (-4,7%), l’India (-4,2%) e la Russia (-4,2%). Se il clima di elevata incertezza dovuto alle vicende belliche dovesse proseguire, nei prossimi mesi potremmo assistere a un ulteriore assottigliamento.

Del resto è risaputo che, in condizioni di forte stress, un paese può arrivare a bruciare una grossa fetta delle proprie riserve ufficiali e magari fare ugualmente default (Argentina docet). E, purtroppo, quello attuale è proprio un periodo di stress elevato per tanti paesi emergenti. A inizio aprile, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha rilevato che, su 73 paesi a reddito basso o medio-basso, la quota di quelli che hanno problemi di sostenibilità del debito o che sono ad alto rischio di averli è salita dal 29% del 2015 al 56% del 2022 (il valore più elevato da oltre un decennio).

Per sostenere il fardello del debito, a breve molti paesi emergenti saranno probabilmente costretti a ridurre il grado di accomodamento fiscale alle loro economie aumentando le tasse e tagliando gli investimenti pubblici con rischi per le loro prospettive di sviluppo. Non a caso il FMI ha rivisto drasticamente al ribasso rispetto allo scorso anno le stime di crescita per questi paesi nel biennio 2022-2023: le nuove stime, rispettivamente +3,8% per quest’anno e +4,4% per il prossimo, sono entrambe al di sotto del tasso medio annuo del 5% registrato nel decennio pre-Covid.

Nell’ipotesi peggiore alcuni paesi emergenti potrebbero trovarsi di fronte alla scelta ingrata fra sicurezza alimentare e rimborso dei debiti. Egitto e Tunisia, ad esempio, sono già pericolosamente vicini a un simile out-out, che rappresenta una seria minaccia per la stabilità politica e sociale dentro e fuori i loro confini.

Anche per questo motivo è essenziale monitorare attentamente l’evoluzione degli eventi e predisporre quanto prima iniziative coordinate a livello internazionale. Supportare adeguatamente i paesi emergenti in maggiore difficoltà ed evitare che si ritrovino a dover affrontare da soli un periodo così critico è una priorità assoluta.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli

@MarcelloMinenna

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