Fed, i mercati chiedono chiarezza sugli acquisti di titoli
Il rialzo dei rendimenti di durata medio-lunga richiede maggiori dettagli sulla guidance e sulle future mosse della banca centrale Usa
di Riccardo Sorrentino
Il rialzo dei rendimenti di durata medio-lunga richiede maggiori dettagli sulla guidance e sulle future mosse della banca centrale Usa
3' di lettura
Ormai è diventato un esercizio arduo. L’assenza di indicazioni che la Fed, da tempo, dà sulle possibili mosse future, la scelta di muoversi in dipendenza dai dati senza però dare dettagli su come la politica monetaria potrebbe rispondere ai diversi scenari, rende molto difficile non tanto fare previsioni, quanto avere aspettative valide sulla manovra di politica monetaria.
Un periodo di transizione
Il fatto che la riunione di dicembre cada in piena fase di transizione, peraltro non facile, tra la presidenza Trump e la presidenza Biden rende il compito ancora più difficile. Il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, con una mossa inattesa e molto criticata, ha anche posto fine al sostegno dell’Amministrazione ai programmi con cui la Fed concede potere d’acquisto, attraverso finanziamenti, alle imprese: una mossa che potrebbe spingere la banca centrale Usa a modificare almeno alcuni aspetti tecnici della sua manovra anti crisi.
Verso una guidance sugli acquisti di titoli
Non sorprende allora che ci siano economisti di mercato che puntano a un nulla di fatto mentre altri si aspettano, e sperano, un importante cambiamento nella comunicazione (che, della politica monetaria, è un aspetto strategico): l’introduzione, in qualche modo annunciata ma dai tempi ancora vaghi, di una guidance – sulle prossime mosse, quindi – sugli acquisti di titoli, il quantitative easing. Si attende anche, ma più per la riunione di gennaio in realtà, qualche indicazione sulla duration del portafoglio della Fed e sugli eventuali aggiustamenti da fare.
«Aggiustamenti non necessari»
Le minute della riunione Fed di novembre hanno sottolineato che «immediati aggiustamenti del ritmo e della composizione di acquisti di titoli non sono necessari», e – come nota il team di analisti di Barclays, che pure si aspetta un cambiamento della guidance – non sembra che le cose siano cambiate da allora.
Aspettative sui prezzi: la fine di un’anomalia?
La politica monetaria della Federal reserve sembra in ogni caso funzionare e non sembra richiedere grandi interventi. Le aspettative sui prezzi continuano a puntare verso l’alto e si sono riavvicinate al due per cento. La scelta di adottare come obiettivo un’inflazione “medio” del 2%, che comporterà dopo una lunga fase di bassa inflazione uno sfondamento verso il 2,5%, sembra funzionare; e nello stesso tempo il rialzo delle attese non richiede ancora l’avvio di una fase di normalizzazione della politica monetaria che, in questa fase, complicherebbe le cose.
L’inflazione di novembre, del resto, è ferma all’1,2% (1,4% l’indice core): lascia ancora ampio spazio a una politica espansiva. Il recupero delle aspettative di lungo periodo sembra insomma essere più un primo segnale della scomparsa di un’anomalia che l’indicazione di un prossimo surriscaldamento dei prezzi.
Condizioni finanziarie accomodanti
Le condizioni finanziarie, misurate dall’ampio indice della Fed di Chicago sono sempre più accomodanti, anche se restano lontane – a quota -0.6% - dal minimo storico, -1,07, e segnano semplicemente il ritorno alla situazione immediatamente precedente l’esplosione dell’epidemia. L’intervento della Fed, al momento, sembra dunque essere stato quello di evitare un indesiderato irrigidimento delle condizioni.
Rendimenti in rialzo nelle lunghe durate
Le componenti più importanti segnalano un piccolo rialzo – rispetto a luglio – dei rendimenti di lungo periodo, mentre quelli a breve e medio periodo restano ai minimi. I decennali, in particolare, offrono oggi lo 0,9%, contro lo 0,62% dell’estate e segnalano un parziale irrigidimento di questa parte della curva. È proprio questo irrigidimento che potrebbe richiedere l’introduzione della guidance auspicata dagli investitori.
Dollaro effettivo in calo
Il cambio effettivo del dollaro – che però pesa molto meno sull’indice delle condizioni finanziarie – ha intanto continuato a perdere terreno e, pur restando al di sopra della media di lungo periodo, che può essere considerato un indicatore “banale” del valore d’equilibrio, è sceso ai livelli dell’estate 2018. L’indice azionario Wilshire 5000, il più ampio, è infine ai massimi da dieci anni.
Il balzo dell’offerta di moneta
Particolarmente significativo è il balzo dell’offerta di moneta, M1, negli ultimi quindici giorni: un rialzo del 14% in un tempo brevissimo, molto probabilmente legato alla concessione di prestiti bancari che potrebbe consigliare alla Federal reserve, insieme evidentemente ad altri fattori, a restare ferma per osservare l’andamento delle sue variabili monetarie, mentre quelle reali – l’occupazione innanzitutto – restano dominate dall’andamento dell’epidemia e richiedono, per essere riportate “in equilibrio” un intervento di carattere fiscale dell’Amministrazione.
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Per saperne di piùRiccardo SorrentinoRedattore
Luogo: Milano
Lingue parlate: Italiano, francese, inglese
Argomenti: Economia internazionale, politica monetaria, dati macroeconomici, Francia
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