Fed, una pausa prima del nuovo rialzo
Le condizioni finanziarie non sembrano ancora soddisfacenti: un altro aumento dei tassi è già previsto, ma nelle proiezioni sarà rilevante anche la durata della fase restrittiva
di Riccardo Sorrentino
3' di lettura
Nessuno si aspetta un rialzo. La riunione di settembre della Federal reserve confermerà il livello dei tassi di politica monetaria al 5,25-5,50%, deciso a luglio. Pochi si aspettano però che questo è il picco: un nuovo ritocco, forse a novembre, è considerato possibile. A meno che i nuovi “dots”, i punti con i quali i governatori indicano, in uno dei grafici delle proiezioni macroeconomiche, il livello dei tassi di interesse previsti per il futuro, non vengano corretti al ribasso.
Inflazione ancora elevata
Un nuovo rialzo, anche piccolo, sembra del resto essere nell'ordine delle cose. L'inflazione Pce, la misura preferita dalla Fed, resta alta, e l'indice core, al quale l'indice complessivo tende a convergere, si muove sempre a una velocità superiore. Il rialzo di luglio – i dati sono in ritardo, rispetto all'indice Pci – è forse soltanto passeggero, ma non è il segnale desiderato.
Aspettative a un anno lontane dall’obiettivo
Le aspettative di inflazione sono ancora relativamente alte: intorno al 2,4% per le misure di mercato, attorno al 3,4 per quelle a un anno. I tassi ufficiali, in termini reali, sono dunque positivi, ma i vari indicatori elaborati dalla Fed di Cleveland e dalla Fed di Atlanta, nel loro complesso, segnalano ancora una situazione dei prezzi ancora surriscaldata.
Crescita in linea con il trend
La stretta fa fatica a “mordere”.Il Pil continua a crescere in linea con il trend. A giugno ha anzi accelerato. Un buon segno in una situazione normale, ma se la lotta all'inflazione passa quasi necessariamente attraverso un rallentamento della domanda, dell'attività economica, il segnale potrebbe avere anche un significato diverso.
Retribuzioni ancora in corsa
I salari continuano a crescere veloci mentre la disoccupazione è vicina ai minimi pluriennali. La Federal reserve è molto preoccupata che, in questa situazione, le retribuzioni possano crescere più della produttività, alimentando l'inflazione. Le recenti rivendicazioni salariali, giustificate dal punto di vista dei lavoratori che vedono erodere il potere d'acquisto con una limitata possibilità di recuperare, sono un ulteriore elemento di inquietudine (e un argomento in più per chi crede che la lotta all'inflazione, sempre dolorosa, deve essere rapida e decisa). La Borsa intanto continua a salire, i prezzi delle case restano stabili, i prestiti (meno importanti negli Usa che in Eurolandia) sono in lieve calo.
Il paradosso delle condizioni finanziarie
Le condizioni finanziarie, soprattutto, segnalano ancora – nell'indice elaborato dalla Fed di Chicago – una situazione sostanzialmente accomodante, e non certo restrittiva: restano al di sotto di quota zero, il livello critico sopra il quale la stretta morde davvero, e anzi continua ad allontanarsene, malgrado gli sforzi finora profusi dal comitato di politica monetaria (Fomc). A monte, i rendimenti continuano a salire lentamente, anche se manifestano da tempo quell'inversione tipica delle fasi di disinflazione, mentre il cambio effettivo, pur al di sopra della media di lungo periodo, continua a muoversi in un corridoio ristretto.
Verso una stretta più lunga?
È un quadro, a grandi linee, che giustifica quindi le attese di quegli analisti che puntano a una pausa a settembre, in attesa di nuovi dati, per poi decidere un nuovo rialzo a novembre. L’enfasi della Fed è già passata alla durata della stretta, piuttosto che al livello dei tassi, e in questo senso un aspetto interessante sarà - all’interno dei grafici dei “dots” - quando apparirà il primo taglio dei tassi. Le proiezioni di giugno indicavano tassi già al 4,5-4,75% a fine 2024, con quattro tagli da 25 punti base l’anno prossimo. Ogni rinvio nelle proiezioni di settembre sarà un inequivocabile segnale restrittivo.
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