Fed, perché la stretta potrebbe continuare
Le condizioni finanziarie non sono ancora del tutto «restrittive» e i salari aumentano rapidamente anche se il rialzo dei tassi comincia a mordere
di Riccardo Sorrentino
I punti chiave
3' di lettura
Inflazione o stabilità finanziaria? Sembra una scelta obbligata, ma le banche centrali – la Bce la scorsa settimana, la Fed mercoledì – cercheranno di evitarla. In nome di un principio fondamentale del loro operato: ogni obiettivo ha il suo strumento. L' inflazione si contrasta con il rialzo dei tassi, l'instabilità finanziaria - quella messa a rischio dalle vicende di Svb, Credit Suisse e First Republic - e con gli strumenti “macroprudenziali”.
Le mosse delle Banche centrali
La Bank of England, a novembre, ha per esempio acquistato titoli di Stato per garantire un ordinato funzionamento dei mercati, interrompendo momentaneamente un ampio programma di vendite e iniettando così liquidità. Non ha però interrotto la rapida stretta sui tassi.
Anche la Federal reserve molto probabilmente seguirà la stessa strada, ma la decisione di marzo sarebbe comunque difficile, anche in assenza di tensioni finanziarie. In base alle indicazioni dei “dots” di dicembre, che rappresentano le previsioni dei singoli governatori, la Fed dovrebbe alzare i tassi di interesse entro fine anno di altri 50 punti base, fino al 5-5,25% dall’attuale 4,50-4,75%.
Molti analisti prevedono così un rialzo di 25 punti base. Considerazioni di risk management potrebbero però presto intervenire nel processo decisionale. La riunione di marzo sarà inoltre accompagnata dalla pubblicazione delle proiezioni aggiornate su pil, inflazione e occupazione e dei “dots” sulle previsioni dei tassi dei singoli governatori, che potrebbero offrire un quadro del tutto nuovo.
Aspettative ancorate
In termini reali, e in un orizzonte temporale almeno di medio periodo i tassi ufficiali attualmente al 4,50%-4,75% sono già oltre al 3%: le proiezioni - che possono essere considerate un proxy “razionale” delle aspettative, indicano un'inflazione del 2,5% nel 2024 e del 2,1% nel 2025, mentre le misure di mercato delle attese di inflazione indicano ormai il 2,1% anche a 5 anni e appaiono dunque ancorate.
Rendimenti in calo, dollaro in rialzo
Secondo l'indice Pce, preferito dalla Fed, l’inflazione resta elevata anche se mostra una leggerissima tendenza alla flessione nella componente di fondo, core, che esclude i prezzi non aggredibili dalla politica monetaria. A monte della catena di trasmissione della politica monetaria, i rendimenti sono però diminuiti mentre il cambio effettivo del dollaro, stabilmente al di sopra della media di lungo periodo da anni, mostra anche una lieve tendenza ad aumentare.
Condizioni finanziarie ancora espansive
Sono segnali contrastanti. L'indice delle condizioni finanziarie della Fed di Chicago, che si basa su oltre 100 indicatori diversi e riassume in un unico dato la situazione di tutta la catena di trasmissione, si mostra stabilmente in territorio ancora espansivo: è costruito in modo che la media di lungo periodo, considerato un valore “naif” dell'equilibrio, sia pari a zero, ed è ancora stabilmente in territorio negativo.
Salari ancora in corsa
La Fed osserva anche con molta attenzione il mercato del lavoro e gli stipendi, per contrastare il rischio di una spirale prezzi-salari-prezzi. Le retribuzioni orarie continuano a crescere a un ritmo molto rapido, che risente sicuramente anche delle difficoltà di trovare lavoratori con le competenze domandate e delle nuove abitudini post-pandemiche. Da un anno a questa parte si assiste a un rallentamento, ma potrebbe non essere sufficiente a convincere la Federal reserve a fermarsi.
Una scelta di grande equilibrio
La decisione di marzo è in ogni caso una scelta che richiede grande equilbrio. La Fed è già passata alla fase in cui conta più la durata della stretta che il ritmo degli aumenti, e il tasso termine appare comunque molto vicino.
I segnali contrastanti potrebbero essere il segnale di una stretta che comincia ora a mordere anche se – osservato dall'esterno, senza gli strumenti delle banche centrali – gli indicatori delle condizioni finanziarie (rendimenti, cambio, indice Chicago) sembrano consigliare di proseguire ancora la stretta, con grande prudenza.
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