Fed, taglio al bilancio di 95 miliardi al mese e rialzo dei tassi: la doppia mossa di Powell
La stretta quantitativa inizierà a maggio e sarà probabilmente accompagnata da un rialzo dei tassi da 0,50 punti percentuali
di Riccardo Sorrentino
3' di lettura
La Federal reserve è pronta a stringere ancora. Al più presto, quasi certamente dopo la riunione del 3 e 4 maggio, inizierà la riduzione del portafoglio titoli, oggi pari a 8.900 miliardi di dollari, a un ritmo che potrebbe raggiungere a regime (nel giro di tre mesi o poco più) i 95 miliardi al mese: 60 miliardi di titoli di Stato e 35 miliardi di mortgage backed securities.
In arrivo rialzi da 0,50 punti percentuali
Le “minute”, i riassunti dei verbali, della riunione del 15-16 marzo pubblicati il 6 aprile, hanno anche rivelato che «molti» dei partecipanti a meeting del Comitato di politica monetaria, il Federal Open Market Committee (Fomc) avrebbero preferito alzare i tassi di 0,50 punti percentuali, e non degli 0,25 punti poi decisi alla luce dell’incertezza creata dall’invasione russa in Ucraina. «Diversi» di loro ritengono comunque che uno o più rialzi da 0,50 punti potrebbero essere appropriati nei prossimi meeting.
Una stretta preannunciata
Non è una sorpresa. I mercati erano già avvertiti. Hanno particolarmente colpito, martedì 5 aprile, le parole della vicepresidente Lael Brainard, che è stata a lungo una “colomba” mentre ora ha assunto un atteggiamento decisamente favorevole a una rapida stretta. Una stretta non solo “quantitativa”, nel senso di una riduzione delle dimensioni del bilancio, ma anche in termini di rialzo dei tassi.
Tassi verso il 2,25-2,50%
«La nostra comunicazione - ha detto la vicepresidente - ha avuto come esito ampie aspettative di mercato per un rapido aumento dei tassi verso il livello naturale» (che dovrebbe corrispondere al 2,25-2,50%, secondo le indicazioni degli stessi banchieri centrali). Le attese puntano ora a un rialzo di 0,50 punti percentuali a maggio, e le sue parole non negano in alcun modo questa indicazione. Non diverse sono state le parole, venerdì 2 aprile, del presidente della Federal reserve di New York John Williams.
Aspettative d’inflazione meno roventi
I mercati hanno effettivamente risposto abbastanza bene al tentativo della Fed e del suo presidente Jerome Powell di plasmare le aspettative di inflazione che, nelle misure di mercato, sono calate. Soprattutto i break even a cinque anni – il differenziale tra i tassi espressi dai titoli a cinque anni e i rendimenti dei titoli con la stessa durata indicizzati all'inflazione - che avevano raggiunto il 25 marzo il 3,59% sono calati fino al 3,28%, un livello non soddisfacente ma che comunque segnala una raffreddamento delle aspettative. I break even a dieci anni, al 2,8%, sono già a livelli più contenuti mentre gli inflation rate swaps, al 2,32%, sono rimasti abbastanza stabili, segno che il mercato riconosce e ha fiducia nella credibilità della Fed.
Rendimenti a breve ancora bassi
È un lavoro ancora incompiuto, però, come mostra la curva dei rendimenti. È molto salita, ma ha raggiunto livelli coerenti con le aspettative solo per le durate superiori a un anno. Per le durate brevi, quelle che “realizzano” la politica monetaria e, allo stesso tempo, la esprimono, i rendimenti restano decisamente più bassi di quelli prevalenti a inizio 2020 (quando però i tassi ufficiali erano all'1,50-1,75%). Dal momento però che la Fed ha segnalato nelle sue proiezioni di marzo fino a sette rialzi da 0,25 punti base quest'anno, che potrebbe chiudersi con un costo del credito all'1,75-2%, un livello più elevato non sarebbe inappropriato.
Condizioni finanziarie da lowflation
Anche le condizioni finanziarie, misurate dall'indice della Fed di Chicago, si sono irrigidite, ma restano a livelli da “lowflation”. Una reazione lenta di questo indice, che riassume l'intera catena di trasmissione della politica monetaria, è nell'ordine delle cose, ma è evidente che la Fed deve far seguire alle parole nuovi fatti.
Pressioni sui prezzi anche dalla domanda
L’inflazione, che ormai coinvolge tutti i settori, è al 6,35% - l’indice Pce, preferito dalla Fed - con un “core” del 5,40%, a fronte di un obiettivo del 2% medio; e, nel caso degli Stati Uniti, non è tutta inflazione da offerta, ma ha una forte componente legata alla domanda (la disoccupazione è al 3,8%). Il rischio, molto concreto e difficilmente evitabile, è che ora la stretta freni la crescita e il rimbalzo post-pandemico.
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