L’allarme

Federalimentare: con l’aumento di costi ed energia a rischio 40mila posti di lavoro

Secondo il presidente Vacondio molte Pmi sono con l’acqua alla gola e in questo momento la corsa alla sostenibilità ambientale «non è sostenibile economicamente»

di Emiliano Sgambato

(AdobeStock)

2' di lettura

Le Pmi dell’industria alimentare sono con l’acqua alla gola e, se le cose non cambiano al più presto, entro il 2022 molte aziende chiuderanno con una perdita stimata di oltre 40mila posti di lavoro. Lo fa ha detto Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, commentando la situazione che il settore sta vivendo a causa degli aumenti dei costi energetici, i quali, sommati a quelli delle materie prime, riducono drasticamente la marginalità delle aziende.

«Molte delle nostre industrie sono energivore tanto quanto quella dell’acciaio o della ceramica e come queste hanno bisogno immediato di attenzione e di aiuto, non possono essere dimenticate», sottolinea Vacondio, nel ricordare il ruolo sociale fondamentale dell’alimentare.
La situazione è sempre più allarmante, avverte il presidente, «tanto che alcune delle nostre aziende hanno iniziato a fermare gli impianti nelle ore in cui il costo dell’energia è più alta, per poi riattivarli nelle fasce orarie in cui i consumi sono minori. Un segnale drammatico davanti al quale non vedo grandi soluzioni».

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«Lindustria alimentare – ha aggiunto Vacondio – non può più sobbarcarsi l’intero costo della produzione e presto, inevitabilmente, parte di questi aumenti peseranno anche sulle spalle dei consumatori che, trovandosi in difficoltà, compreranno di meno con una conseguente diminuzione dei consumi, un danno per tutto il Paese».

«Abbiamo chiesto aiuto al Governo inviando anche una lettera formale a Draghi in cui ribadiamo la situazione nella quale ci troviamo – ricorda Vacondio – ma la mia paura è che non ci siano sufficienti risorse per risolvere questo problema diventato enorme».

Un altro nodo del problema , secondo il presidente di Federalimentare, «è che stiamo facendo i conti con la corsa alla sostenibilità ambientale che, semplicemente, non è sostenibile economicamente. Da qui la necessità di rivedere i tempi di raggiungimento degli obiettivi delle agende 2030 e 2050 che non ne tengono conto e questa situazione ne è la dimostrazione».

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