UN RE DELLA GIUNGLA IN PERIZOMA

Fenomenologia di Tarzan

di Stefano Biolchini

. Tarzan con Jane, Cita e Piccolo

4' di lettura

«A -aa-aa-aaaa». La prima lettera dell’alfabeto, ripetuta a più riprese, e il battere forte e imperioso sul torace sono il suo irriducibile e nostalgico grido di battaglia. Perché da oltre un secolo, correva l’anno 1912, John Clayton, universalmente noto come Tarzan, è un eroe moderno. Nudo come Adamo, forte come Eracle, bello come Apollo, nutrito come Romolo dal latte di belva, rousseuianamente selvaggio, il Re della giungla, per volere della penna estrosa di Edgar Rice Bourroughs, può fare a meno perfino dei superpoteri o dei mantelli magici dei suoi confratelli del mito a stelle e strisce: a lui bastano le liane per volare, un semplice pugnale è la sua spada di moderno cavaliere della Tavola Rotonda; tutto il resto, per quanto lo riguarda nel bene nel male, come spiega Francis Lacassin, nel suo Il ritorno di Tarzan, appartiene ormai ai più consolidati archetipi di ispirazione collettiva. Impresa non da poco per un agente immobiliare che sarà reso ricco da oltre 35 milioni di copie vendute.

Se il rischio era di confondere il re della giungla con il Mowgly di Kipling, la maestria di Bourroghs sta nella personale rinnovazione dei tanti miti di riferimento, senza trascurare l’archetipo di Robinson Crusoe. Reinterpretazioni rese più verosimiglianti dalle nobili ascendenze inglesi dell’eroe,ovvero Lord Greystoke, molto rassicuranti per un pubblico perbenista, che lo vuole wasp e con per compagna una Jane dalla pelle color latte. Se poi a ciò si aggiunge l’onirismo di un linguaggio da “antropoidi”, assurto al gergo fatato che trasforma il leone in «Numa»,in «Sabor» la leonessa , in «Histah» il serpente, a cui si affiancheranno la matita aerea di Hogarth per i fumetti e poi il fastoso cinema muto e quindi il sonoro, il successo non poteva che essere planetario per questo eroe pacifico ed energico insieme, che non consente a nessun intruso di sfidarne l’autorità. Perché Tarzan è si un democratico antischiavista che combatterà anche i nazisti, ma è altresì un conservatore rassicurantemente paternalista.

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E questo, come segnala Lacassin, è il suo principale difetto. E ancora, un re nudo, ma dalla tranquilla nudità che si fa «la migliore delle armature contro gli assalti e i turbamenti della sua sessualità». Perché le incertezze sulla libido del nostro eroe sono molte. Con un’accortezza che la dice lunga sul clima dell’epoca: l’erotismo del personaggio va sempre controllato, e così scappa sempre davanti alle pretese amorose delle regine d’Africa (tutte bianche a governare sui neri!). È un «principe che dopo aver sconfitto il drago fugge davanti alla principessa». Come un moderno gladiatore Tarzan cerca con piacere,fors’anche sadico, i combattimenti. E come suggerisce l’autore, per uno che preferisce misurarsi con avversari muscolosi in lotte sensuali, «Sodoma e i suoi piaceri« restano più che un sospetto. Senza che venga però meno la portata onirica di romanzi che spaziano dal Santo Sepolcro alla conquista di Atlantide e fino allo spazio.Certo Bourroughs utilizza uno schema collaudato che prevede la ricerca di un tesoro o di una persona perduta per far arrivare il signore delle liane alla scoperta di una civiltà remota e nascosta, con corredo di lotte e ostilità fratricide; ma la sua saga, con miscelati a dovere mistero, favoloso, orrifico, dinamismo e barocchismi, non per questo risulta meno fantastica, anzi.

Il re delle scimmie «non è solo il buon selvaggio che conduce una vita sana, leale e primitiva» spiega Lacassin, ma «è forse un mutante venuto da altri mondi e medium che ha il dono prodigioso di mettere in comunicazione la giungla, il nostro mondo e il suo tempo con il fiabesco e l’aldilà». Con il delirio stravagante di questo autore che trasfonde la poesia nell’inusitato di avventure stupefacenti.

Al Cinema, a Elmo Lincoln, che lo impersonò per primo, e a Johnny Weissmuller, il compito di renderne per sempre evocativo l’urlo furente. E questo nonostante la mutazione commercialmente genetica dell’eroe in un «capo scout naturista che fa camping con la sua Jane (la stupenda Maureen O’ Sullivan, la migliore di sempre in pellicola) per compiere la sua buon’azione quotidiana».«Grazie a quali complicità la stupidità, il cattivo gusto e la cupidigia sono riusciti a pervertire uno dei più affascinanti miti moderni?» si domanda Lacassin. Un’impresa in grado di desacralizzare il personaggio con sacrifici assurdi, conditi di imborghesimento e stereotipi puerili che, in intrecci pressapochisti, avranno la meglio sui grandi schermi dal ’37 in poi, quali veicoli della più scalcagnata ideologia americana.

Tarzan come trasposizione pittoresca del self made man,finirà per applicare alla giungla «la dottrina Monroe». «Pervertito, evirato, falsificato da Hollywood, questo padre di famiglia anodino...non ha più nulla di comune - se non la nudità- con colui che amammo» conclude il libro. E solo per caso la censura negli Usa, non colpì i fumetti. Non così in Francia, dove le sue bande dessinée suscitarono reazione indignata per finire sotto la ghigliottina della censura con la legge del 1949. L’ordine morale e l’educazione di fanciulli e fanciulle decretarono la caduta di un mito in “pericoloso” perizoma , che pure resterà nelle teste e nei sogni di quanti nessun conformismo potrà privare dell’immaginazione e della nostalgia.

Francis Lacassin, Il ritorno di Tarzan.
La storia e il mito tra letteratura, cinema e immagine
,

Medusa Editrice, Napoli, pagg. 112, € 19,50

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