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Fermi alla terza media 17,7 milioni di italiani

Indagine Inapp: dati allarmanti su abbandono scolastico e formazione. Fadda: «C'è il rischio che le diseguaglianze aumentino»

di Barbara Bonomi

(harunyigit - stock.adobe.com)

3' di lettura

Sono 11,7 milioni gli italiani che non si sono iscritti alla scuola secondaria superiore. Quasi 4 milioni si sono fermati. Cinque milioni si sono iscritti a percorsi universitari senza però portarli a termine. Il panorama è preoccupante: ancora oggi il 41% della popolazione in esame (ben 17,7 milioni) ha al massimo la licenza media, come sottolinea il Rapporto Plus 2022 dell'Inapp, che contiene i risultati di un'indagine condotta su un campione di 45mila individui dai 18 ai 74 anni. I diplomati sono solo il 42%. La porzione di popolazione con titolo di Laurea è composta da 6,1 milioni (14%) e solo 1,3 milioni detengono master e dottorati di ricerca (3%).

La partecipazione ad attività formative coinvolge circa il 19% del totale delle persone intervistate. Meno di 12 persone su 100 hanno seguito uno o più corsi di formazione; solo il 4,5% degli inattivi. Quasi il 60% delle attività formativa è svolta a distanza. E in grande maggioranza da uomini over 50. La partecipazione ad attività formative degli occupati è, invece, superiore al 17% e in continua crescita. Ma il livello di abbandono degli iter di studio è, comunque sia, molto alto. Il 40% del campione indica un'offerta di lavoro come causa dell'interruzione. Un terzo indica sopraggiunti problemi familiari. Un quinto attribuisce la causa a un rendimento basso. Mentre uno su 10 motiva l'abbandono con il disinteresse per il percorso scelto. Per non contare le incertezze delle nuove generazioni sul proprio futuro lavorativo.

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La fotografia riguarda, come detto, una vasta fascia di popolazione, che abbraccia diverse generazioni, con un tasso di scolarizzazione crescente tra i più giovani. Il fenomeno della dispersione formativa resta comunque, anche per le fasce giovanili, un problema ancora importante, con quote di ragazzi che abbandonano i percorsi formativi senza conseguire un titolo, sensibilmente superiori alla media europea.

L'accesso al mondo del lavoro per i giovani appare, infatti, troppo macchinoso e largamente informale, contribuendo a lente transizioni verso l'occupazione stabile. Sotto i trent'anni solo un giovane su cinque ha avuto un’occupazione.

“Sono dati che dovrebbero far riflettere - ha commentato Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp - perché mostrano da un lato l'incapacità del sistema formativo di, per così dire, “trattenere” fino al compimento degli studi coloro che li hanno intrapresi, e d'altro lato le debolezze e le incertezze di coloro che decidono di abbandonare i percorsi iniziati. Entrambi i fenomeni richiedono interventi specifici perché nuocciono all'accumulazione di quel “capitale umano” che è necessario per spingere verso l'alto il livello di qualificazione della nostra forza lavoro e anche il livello di inclusione e di coesione sociale. Sono dati – ha aggiunto Fadda - che fotografano in modo abbastanza netto il nostro sistema di istruzione e di formazione professionale che deve essere migliorato per garantire una migliore aderenza dei percorsi formativi ai bisogni di competenze emergenti dall'evoluzione della società e per garantire anche un adeguato sistema di orientamento e di supporto capace di rompere la frequente dipendenza dei percorsi formativi dal retroterra culturale e reddituale dei genitori”.

Analizzando le differenze nelle scelte scolastiche di genere si conferma che la crescente esigenza di competenze di livello medio-alto in ambito tecnologico si riflette nella crescita del liceo scientifico; l'aumento di iscritti al liceo linguistico può, invece, essere ricondotto a una dimensione maggiormente internazionale dei giovani, mentre l'opzione per il liceo classico risulta abbastanza stabile. La partecipazione agli Istituti Tecnici e Liceo Scienze Umane è in discesa. Gli studenti che provengono dagli Istituti Professionali e dagli Istituti Tecnici sono le categorie che più di rado raggiungono un titolo universitario (rispettivamente 10% e 17%).

“La formazione, e in particolare l'apprendere ad apprendere – ha concluso Fadda - costituisce la base su cui costruire il proprio ruolo nel mercato del lavoro. Questo ultimo sta cambiando in modo profondo (come testimoniato anche dalle linee d'indirizzo del Pnrr, fortemente orientate verso la trasformazione digitale e l'economia verde) e senza una adeguata formazione c'è il rischio che le diseguaglianze già in atto continuino ad aumentare, marcando in modo considerevole chi ha gli strumenti per andare avanti e chi invece è destinato ad essere espulso dal mondo del lavoro”.

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