Ferreira: «La politica di coesione altrove funziona, in Italia svela i problemi del Paese»
La commissaria europea alle Politiche regionali replica allo studio dell’Istat sulla mancata convergenza delle regioni del Mezzogiorno verso la media europea, nonostante tre cicli di programmazione dei fondi strutturali Ue. Parla dei rapporti con il ministro Fitto
di Giuseppe Chiellino
4' di lettura
Uno studio dell’Istat poche settimane fa ha puntato il dito sull’efficacia della politica di coesione in Italia: “Vent’anni di mancata convergenza” delle regioni povere verso la media Ue. Ne abbiamo parlato con Elisa Ferreira, commissaria europea alle Politiche regionali.
Commissaria, che idea si è fatta dell’efficacia della politica di coesione, strumento di redistribuzione della ricchezza tra territori?
L’ottava relazione sulla coesione pubblicata l’anno scorso mostra che le disparità in termini di Pil pro capite nell’Ue sono diminuite negli ultimi vent’anni. Ciò è dovuto in gran parte alla convergenza delle regioni dell’Europa orientale. Nei “vecchi” 15 Stati membri Ue la convergenza economica è stata molto più lenta e ha iniziato a diminuire dall’inizio della crisi finanziaria nel 2009. Molte regioni italiane sono tra quelle che hanno registrato divergenze, una tendenza che emerge anche dal rapporto Istat. È importante notare che tutte le regioni italiane hanno perso terreno rispetto alla media Ue
Questo cosa significa?
Significa che il calo riguarda tutto il Paese, non solo le regioni meridionali. Non possiamo dedurre, perciò, che la politica di coesione ha fallito. Inoltre, la politica di coesione rappresenta, in media, lo 0,3% del Pil annuale dell’Italia. Non è una cifra trascurabile ma dal punto di vista macroeconomico non può rimediare a un periodo prolungato di bassa crescita dovuta a diversi fattori. Da sola la politica di coesione non può guidare lo sviluppo di un’intera regione o di un paese.
Che cosa serve, oltre alle risorse europee?
Gli investimenti nazionali svolgono un ruolo chiave. Ma gli investimenti pubblici in Italia sono diminuiti nel tempo. La quota del Sud sul totale degli investimenti in Italia è scesa dal 38% del 2000 al 33% del 2023. I finanziamenti della politica di coesione compensano solo parzialmente il deficit degli investimenti nazionali
Cos’altro secondo lei non ha funzionato in Italia?
Uno degli aspetti critici da migliorare significativamente nelle politiche di spesa pubblica in Italia, in particolare al Sud, è la capacità dei beneficiari e degli enti intermedi di pianificare gli investimenti, costruire linee progettuali e svolgere procedure di gara. Se non hanno la capacità tecnica, amministrativa e finanziaria per assumersi tale compito, è molto difficile far funzionare la politica. Le amministrazioni centrali hanno un ruolo importante in termini di coordinamento, monitoraggio, rendicontazione e gestione degli strumenti di finanziamento. Ma ciò deve andare di pari passo con l’approccio regionale della politica di coesione e conferire alle autorità regionali e locali il potere di elaborare e attuare strategie di investimento. Questo è il motivo per cui il sostegno della politica di coesione all’Italia nel periodo 2021-2027 contiene un massiccio programma di 1,2 miliardi di euro per lo sviluppo delle capacità amministrative e l’assistenza tecnica che si concentra interamente sui beneficiari e sugli organismi di attuazione nel Sud.
Come state gestendo la sovrapposizione tra coesione e Pnrr?
Questo rischio c’è ma c’è anche il rischio, di cui si discute meno, di disallineamento degli obiettivi: la coesione economica, sociale e territoriale non può essere solo opera dei programmi di coesione. Dev’essere un obiettivo di politiche e strumenti orizzontali, come il Pnrr. Durante i negoziati sui programmi 2021-2027 e sul Pnrr sono state proposte diverse misure, come le banche dati singole. I rappresentanti dei Pnrr partecipano ai comitati di sorveglianza e al monitoraggio dei programmi di coesione. Viceversa, le autorità di gestione dei programmi di coesione partecipano alle strutture regionali di monitoraggio dei Pnrr. In alcuni settori è stata operata una netta distinzione tra i progetti che i due strumenti possono finanziare: ad esempio, il Pnrr italiano finanzia progetti ferroviari di rilevanza nazionale, mentre la coesione copre quelli regionali e locali
A che punto è lo scontro con il ministro Raffaele Fitto che aveva chiesto di rinegoziare l’accordo di partenariato 21-27 e aveva ipotizzato una decisa centralizzazione della gestione dei fondi strutturali in Italia?
Non c’è alcuno scontro. Le nostre discussioni con l’Italia sono sempre state costruttive basate su una buona cooperazione e dialogo. Condividiamo la stessa preoccupazione di utilizzare al meglio il sostegno della politica di coesione sul campo per migliorare le prospettive economiche e la qualità della vita degli italiani. Il modo per raggiungere questo obiettivo può e deve essere discusso, ed è esattamente ciò che abbiamo fatto e continueremo a fare – e questo vale per tutti i paesi.
A fine anno si chiudono i “tempi supplementari” del periodo 2014-2020. L’Italia rischia di perdere risorse?
È ancora troppo presto per saperlo. Gli investimenti sostenuti dalla politica di coesione nel periodo di programmazione 2014-2020 devono essere chiusi entro il 31 dicembre 2023. Solo allora avremo una prima indicazione della situazione delle esecuzioni in tutti i paesi. Alcuni programmi sono più lenti di altri, ma sono monitorati molto attentamente per mitigare i rischi.
I fondi della coesione sono spesso dirottati per coprire i costi delle emergenze, come per il Covid, la crisi dei profughi per la guerra in Ucraina e le crisi migratorie. Un elenco che sembra destinato ad allungarsi, per esempio con il “fondo sovrano”. Non crede che ciò stia snaturando gli obiettivi di questa politica?
Senza il sostegno eccezionale della politica di coesione durante le varie crisi le regioni e i paesi più deboli erano a rischio di collasso economico e sociale in quanto non hanno la capacità delle regioni più ricche di assorbire gli shock. Mobilitando il sostegno alla coesione per mitigare l’impatto di queste crisi, preveniamo l’esacerbarsi di questi shock. Inoltre, le modifiche introdotte nel quadro legislativo di coesione sono state mirate e limitate nel tempo. Questo è stato il caso di tutti i cambiamenti che hanno sostenuto gli Stati membri, le regioni e le persone ad affrontare la pandemia di Covid e le conseguenze della guerra in Ucraina. Faccio notare che solo il 10% circa della dotazione iniziale per la coesione dal 2014 al 2020 è stato utilizzato per misure di emergenza. La maggior parte è rimasta per progetti di trasformazione a lungo termine. La recente proposta di creare una piattaforma sulle tecnologie strategiche per l’Europa (STEP) a sostegno delle industrie e dei settori strategici ad alta tecnologia europei non è una misura di emergenza, ma piuttosto uno strumento aggiuntivo per lo sviluppo economico a lungo termine. Il potenziale contributo della politica di coesione a questa piattaforma sosterrà e accelererà la diffusione degli investimenti per la transizione verde e digitale e contribuirà a rafforzare la competitività delle nostre economie nel mercato globale. La politica di coesione è spesso accusata di essere lenta, ma ciò ha dimostrato la sua capacità di agire rapidamente e con decisione per aiutare e sostenere la solidarietà e la coesione quando necessario.
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