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Festival di Berlino: “BlackBerry”, ascesa e caduta di un fenomeno mondiale

In concorso è stato presentato il film che racconta la genesi del celebre dispositivo portatile. In competizione anche il tedesco “Someday We'll Tell Each Other Everything”

di Andrea Chimento

3' di lettura

La storia del BlackBerry in concorso alla Berlinale: tra i primi film in lizza per l'Orso d'oro c'è una pellicola incentrata sulla genesi, il successo mondiale e infine il grave fallimento del celebre dispositivo portatile.

Intitolata semplicemente “BlackBerry”, questa pellicola canadese diretta da Matt Johnson descrive l'incontro tra il geniale ingegnere Mike Lazaridis e Jim Balsillie, uomo d'affari dal piglio fortemente commerciale: unendo le forze hanno creato e venduto un vero e proprio fenomeno mondiale, capace di influenzare buona parte della tecnologia successiva.

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Il BlackBerry ha cambiato il modo di lavorare e comunicare ma, dopo l'enorme scalata, sono arrivati anche i primi problemi: la concorrenza di altri smartphone che stavano nascendo (a partire dall'iPhone, esplicitamente citato nel corso del film), oltre a una serie di gravi distrazioni, possibili illeciti e confusione manageriale che, tutti insieme, hanno portato alla repentina fine di uno dei marchi di maggior successo nella storia della tecnologia.

Prendendo spunto dal romanzo “Losing the Signal” di Jacquie Mcnish, Matt Johnson ha dato vita a una pellicola incentrata su questa ascesa fulminea e sulla catastrofica scomparsa del BlackBerry. Da questo spunto si sviluppa un film che tratta la corsa sfrenata agli avanzamenti tecnologici, raccontando personaggi che finiscono per perdere la loro anima pur di raggiungere il successo.

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Rimandi a “The Social Network”

Può venire con facilità in mente l'ottimo “The Social Network”, incentrato sulla nascita di Facebook, ma, rispetto allo stile rigoroso e preciso di David Fincher, Matt Johnson opta invece per l'utilizzo di cineprese a mano e per uno sguardo semidocumentaristico sulla vicenda: non mancano infatti anche materiali di repertorio, presi da notiziari e video dell'epoca, che intervallano una narrazione che procede con buon ritmo dall'inizio alla fine.La resa estetica del film non è un granché e la narrazione ha passaggi eccessivamente prevedibili, ma nell'insieme è un prodotto che si guarda con piacere.

Capace di lasciare diversi spunti di riflessione su quanto siano altalenanti le mode e le tendenze ai giorni nostri, “BlackBerry” non è di sicuro un prodotto memorabile, ma resta comunque un onesto intrattenimento che propone temi importanti.

Da segnalare che il regista Matt Johnson interpreta Doug, il migliore amico di Mike Lazaridis e co-fondatore della sua azienda.

Someday We'll Tell Each Other Everything

In concorso è stato presentato anche il primo film tedesco della competizione: “Someday We'll Tell Each Other Everything” di Emily Atef.

Ambientata nell'estate del 1990, la pellicola racconta la vita di una fattoria che fino a poco tempo prima era vicina al confine che divideva le due Germanie. Intanto che la famiglia aspetta un'importante visita del figlio, che si era trasferito all'Ovest in passato, la giovane Maria cerca di dare un significato alla sua esistenza.

Mentre legge libri impegnati e vive una relazione sentimentale con un suo coetaneo, si lascia tentare da un'esperienza passionale con un loro vicino di casa, di molti anni più grande di lei.

Adattamento del romanzo omonimo di Daniela Krien, questo film è un classico racconto di formazione che utilizza la metafora dell'estate come momento di passaggio verso l'età adulta.

Emily Atef ha buona mano dal punto di vista fotografico (l'aveva già dimostrato anche in “3 Days in Quiberon”, film in cui raccontava Romy Schneider), ma i suoi simbolismi sono spesso troppo didascalici e l'eccessiva durata della pellicola – circa 130 minuti – rende faticoso il coinvolgimento.

Notevole il ragionamento attorno all'incertezza tedesca dopo la riunificazione, ma anche questo spunto non viene sempre approfondito a dovere e su tutto il film aleggia una sensazione di già visto difficile da nascondere.


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