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Festival di Berlino: diverte la commedia nera «The Party» di Sally Potter

di Andrea Chimento

2' di lettura

Una commedia nera è la protagonista di oggi a Berlino: si tratta di «The Party», ultima fatica della regista inglese Sally Potter, che torna nel concorso della kermesse tedesca a otto anni di distanza da «Rage».
Il film si apre con una coppia di mezz'età, Bill e Janet, che si prepara a dare una festa nel proprio appartamento: Janet ha appena avuto un importante scatto di carriera ed è pronta a celebrare con il marito e alcuni amici. La festa, però, prende una piega inaspettata quando Bill fa due rivelazioni che sconvolgeranno sua moglie e tutti i presenti.

È una storia in tempo reale, che racconta poco più di un'ora nella vita di sette personaggi (più uno misterioso), tra colpi di scena, segreti che non saranno più tali, tradimenti e complesse dinamiche coniugali.
Il tipico humour nero britannico è presente in quasi tutta la pellicola, ma la Potter alterna il registro comico a quello tragico, seppur risulti decisamente più efficace il primo del secondo. È un'operazione piuttosto semplice e priva di grandi pretese, ma ugualmente capace di fare discretamente il suo dovere e di intrattenere dalla prima all'ultima sequenza.
Notevolissimo il lavoro di un cast che annovera nomi del calibro di Timothy Spall, Kristin Scott Thomas, Bruno Ganz e Cillian Murphy.

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Oggi è stato presentato anche il primo film tedesco del concorso: «Bright Nights» di Thomas Arslan.

Protagonista è Michael, un ingegnere austriaco che vive a Berlino insieme alla fidanzata. Quando suo padre muore per un attacco di cuore, Michael sentirà il bisogno di ricostruire un rapporto con il figlio adolescente, Luis, con cui ha rarissimi contatti da diversi anni.
Dopo il curioso western «Gold», Arslan torna in concorso a Berlino con questo dramma sul rapporto padre-figlio, che assomiglia molto a un road-movie: il padre di Michael vuole essere seppellito in Norvegia e i due intraprendono un viaggio verso nord che forse li porterà a riconciliarsi.

Le premesse sono solide e Arslan gira con buon rigore formale, anche se l'eccessiva freddezza della sua messinscena rende difficile empatizzare fino in fondo con i personaggi e complesso il coinvolgimento dello spettatore.

I dialoghi sono credibili e la tenuta narrativa discreta, ma manca qualche guizzo degno di tale nome per rendere «Bright Nights» un film realmente riuscito.

Infine, in competizione è arrivato anche il nuovo lavoro del giapponese Sabu, «Mr. Long».

Al centro c'è la storia di un sicario professionista che, durante una missione, non riesce a portare a termine il lavoro e si rifugia nella periferia di una piccola città. Qui inizia a prendersi cura del piccolo Jun, figlio di una tossicodipendente, e potrebbe iniziare una nuova vita.
Piccolo passo in avanti rispetto agli ultimi film del regista nipponico (tra cui «Chasuke's Journey», visto a Berlino nel 2015), «Mr. Long» mostra che Sabu ha una discreta padronanza stilistica e alcuni spunti visivi che si fanno notare soprattutto nelle primissime battute.

Dopo un inizio degno di nota, però, il film segue traiettorie molto consolidate e non riesce mai a stupire come dovrebbe: diversi i cliché e troppi i passaggi prevedibili per una pellicola che funziona a fasi alterne. Buona prova dell'attore taiwanese Chen Chang nei panni del protagonista.

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