Cannes

Festival di Cannes: emoziona «Tout s'est bien passé» di François Ozon

Nella seconda giornata della kermesse francese, protagonisti in concorso il regista transalpino e l'israeliano Nadav Lapid con «Ahed's Knee»

di Andrea Chimento

«Tout s'est bien passé»

2' di lettura

François Ozon emoziona la Croisette: il regista francese torna in concorso al Festival di Cannes con «Tout s'est bien passé», secondo film in competizione firmato da un autore transalpino dopo Leos Carax con «Annette».

Alla base di «Tout s'est bien passé» c'è il romanzo omonimo di Emmanuèle Bernheim, che ha raccontato la propria storia con suo padre: un uomo che, dopo un ictus, chiede alla figlia di aiutarlo a morire, portandolo in Svizzera.

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Dopo il nostalgico «Estate ‘85», uscito circa un mese fa nelle nostre sale, il sempre più prolifico Ozon torna ad affrontare il tema della morte, dei legami umani e di quegli addii che sembrano inevitabili.

In questo senso può tornare alla mente quello che ancora oggi rimane uno dei punti più alti della lunga carriera del regista, ovvero «Il tempo che resta» del 2005.

«Tout s'est bien passé»

Un film privo di retorica

Non è un film di denuncia questo dramma che mette al centro il tema dell'eutanasia, ma una pellicola dedicata al rapporto padre-figlia in uno dei momenti più dolorosi della loro esistenza.Ozon saggiamente non (s)cade in scelte retoriche e rimane essenziale, pur riuscendo ugualmente a coinvolgere e toccare corde particolarmente profonde. Non ci sono grandi guizzi registici da segnalare e c'è qualche passaggio a vuoto in fase di sceneggiatura, ma nel complesso è un film che riesce a far riflettere, sentito e forte di un cast ricco di grandi interpreti come Sophie Marceau, André Dussollier, Charlotte Rampling e Hanna Schygulla.

«Ahed's Knee»

Quest'ultima, musa di Fassbinder, ci ricorda inoltre che Ozon sta lavorando a un rifacimento de «Le lacrime amare di Petra von Kant», uno dei più grandi film diretti proprio dal regista tedesco.

«Ahed's Knee»

Ahed's Knee

In lizza per la Palma d'oro è stato presentato anche «Ahed's Knee» di Nadav Lapid, regista israeliano reduce dal successo al Festival di Berlino due anni fa con il sopravvalutato «Synonymes».Protagonista è proprio un regista israeliano, fortemente ispirato allo stesso Lapid, che arriva in un remoto villaggio in mezzo al deserto per presentare uno dei suoi film. Qui si ritroverà a combattere una vera e propria battaglia contro la morte della libertà nel suo paese. Non è un film semplice «Ahed's Knee», opera che punta su un fortissimo simbolismo che risulta però autocompiaciuto e decisamente fine a se stesso. Si sente l'urgenza di raccontare del regista, tanto per la natura politica della vicenda quanto per i collegamenti con la sua vita e la sua famiglia, ma gli spunti rimangono troppo in superficie e alla fine la carne al fuoco è troppa.I tanti flashback, inoltre, continuano a frammentare una narrazione che perde spesso di ritmo e appassiona meno del dovuto, anche a causa dei troppi finali che finiscono per rendere l'ultima parte del film irritante e inconcludente.

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