Festival di Cannes: «Tori et Lokita», vita ai margini di due adolescenti
In concorso per la Palma d'oro il nuovo film dei fratelli Dardenne, ma anche l'iraniano «Leila's Brothers» di Saeed Roustayi
di Andrea Chimento
3' di lettura
I beniamini del Festival di Cannes: si possono senza dubbio definire così i fratelli Dardenne, registi sempre presenti sulla Croisette con i loro film e già vincitori di due Palme d'oro per «Rosetta» (1999) e «L'enfant» (2005).
Arrivati al dodicesimo lungometraggio di finzione della loro carriera, i due autori belgi hanno scelto di raccontare la storia di Tori e Lokita, arrivati in Belgio dopo aver percorso un lungo viaggio in solitaria dall'Africa all'Europa.
Lei è una ragazza adolescente, lui poco più che un bambino: il loro legame è messo a dura prova dalle severe condizioni in cui vivono.
Poco importa se i due personaggi siano realmente fratello e sorella come dicono, oppure se si siano conosciuti dopo la partenza dall'Africa, quello che conta è che ci troviamo di fronte a un rapporto sincero tra due giovanissimi con cui è facile empatizzare fin dalla prima sequenza.
Quello di Tori e Lokita è un percorso sempre più drammatico, attraverso un climax tensivo crescente in cui i Dardenne, però, caricano troppo alcune sequenze nella speranza di poter scuotere a ogni costo lo spettatore.
Uno stile incisivo ma sempre uguale a se stesso
Si tratta dell'ennesimo racconto profondamente morale della filmografia dei due autori (tra i loro lungometraggi più belli va segnalato anche «Il figlio» del 2002), con al centro ancora una volta dei giovani costretti a lottare per sopravvivere e trovare un proprio posto nel mondo contemporaneo.Lo stile dei Dardenne, rappresentato da una cinepresa a mano sempre molto dinamica, è incisivo ma ormai privo di quell'originalità e di quel respiro che il loro cinema aveva nella prima parte della carriera. Sono ormai diversi anni che i due registi giocano un po' troppo di maniera, adagiandosi sui fasti del passato e rimanendo sempre in una comfort zone dove rischiano poco: il risultato ha comunque i suoi pregi, ma il disegno d'insieme fatica a emozionare come dovrebbe e la resa è eccessivamente ripetitiva.
Notevole, però, la lunga sequenza finale, così come alcuni passaggi sparsi nel corso di una visione che alterna momenti coinvolgenti ad altri poco appassionanti.Piccola curiosità: all'interno della narrazione un ruolo importante è affidato alla canzone di Angelo Branduardi «Alla fiera dell'Est».
Leilas Brothers
In concorso è stato presentato anche un nuovo film iraniano: dopo l'interessante «Holy Spider» di Ali Abbasi, è arrivato il turno di «Leila's Brothers», terzo lungometraggio del regista Saeed Roustayi.Al centro della vicenda c'è Leila, una donna di quarant'anni che ha passato tutta la vita a prendersi cura dei suoi genitori e dei suoi quattro fratelli. In una famiglia schiacciata dai debiti, in un Paese in preda alle sanzioni economiche internazionali, i litigi sono all'ordine del giorno. Mentre i suoi fratelli cercano di sbarcare il lunario, Leila formula un piano: avviare un’impresa che li salverebbe dalla povertà.Intenso dramma famigliare su una complessa situazione economica, «Leila's Brothers» è un film che parla di una donna che cerca di salvare i suoi affetti più cari in una società profondamente maschilista e patriarcale.
La pellicola tocca corde profonde e lascia spunti di riflessione, puntando soprattutto sui dialoghi e su una sceneggiatura che si fa via via più articolata nello scoperchiare tensioni e fragilità, ma la durata eccessiva (circa 2 ore e 45 minuti) rende il tutto molto prolisso, disperdendo alcuni dei pregi maggiori all'interno di un copione molto altalenante. Dopo un gran bell'incipit che gioca su un efficace montaggio alternato, il film si adagia su un andamento scolastico, riuscendo soltanto nel blocco centrale e nell'ultima parte a ritrovare lo slancio iniziale.Buona, però, la prova del cast, a partire dalla sorprendente protagonista Taraneh Alidoosti e dall'attore che veste i panni della figura paterna, Saeed Poursamini.
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