Fiat X 1/9: la piccola sportiva che gli americani chiamarono «Little Ferrari»
Tra i molti modelli prodotti il consiglio è di puntare sulla Five Speed per viaggiare divertendosi e su una prima serie Verde chiaro da collezione
di Vittorio Falzoni Gallerani
3' di lettura
Celebrando il mezzo secolo dalla nascita di questa deliziosa automobile vorremmo iniziare prendendo un minimo di distanza da tutti coloro che insistono su uno stretto legame tra lei e la Autobianchi A112 Runabout, prototipo da Salone presentato dalla Bertone a Torino nel 1969. Non che manchi una qualche somiglianza tra le due auto che però ci pare si esaurisca nella forma a freccia del muso, cosa normalissima tra due macchine disegnate dalla stesso stilista: nella fattispecie Marcello Gandini; peraltro richiami evidenti alla Runabout si trovano anche sulla NSU Trapeze e sulla Lancia Stratos HF.
Piuttosto, a proposito dello stile della Fiat X 1/9, ci sembra opportuno ricordare il “fattaccio” relativo alla De Tomaso 1600, disegnata da Tom Tjaarda per la Ghia e presentata, sempre a Torino, nel 1970: questa sì quasi uguale alla nostra protagonista. Relativamente a questa plateale somiglianza si è detto tutto ed il suo contrario: ma è un fatto che, quando nel dicembre 1972 nel Parco delle Madonie la X 1/9 viene mostrata alla stampa specializzata, essa non sfugge e ne viene fuori anche qualche polemica.
Detto questo, per rispetto della storia, non si può negare che la linea di questa piccola sportiva, al netto di qualche fregio di troppo, sia indovinatissima e sia stata parte importante del suo successo portandola perfino a diventare l’auto di Lucy Ewing nella serie televisiva Dallas degli anni 70 e 80. Non che la parte meccanica fosse carente poiché la versione da 1,3 litri del nuovo motore monoalbero della Fiat 128 da 75 CV, posizionato per la prima volta in posizione centrale, aveva tutta la grinta necessaria ad una guida sportiva e divertente.
Certamente un telaio così equilibrato avrebbe potuto gestire potenze ben più elevate, ma l’unica lamentela ricorrente tra i giornalisti di tutto il mondo che la provarono non riguardò la mancanza di cavalleria (se ne dolse solo Emerson Fittipaldi, dall’abilità di guida notoriamente fuori standard) ma il cambio a cinque marce che costringeva il motore a regimi elevatissimi negli svelti trasferimenti autostradali che l’auto consentiva.
Ottima fu riconosciuta la capacità dei due bagagliai, più che adatta alle necessità di una coppia di giovanissimi in gita di piacere e, una volta scaricati i bagagli in albergo, si poteva sfruttare il vano anteriore per riporre il tettuccio asportabile e proseguire così all’aria aperta senza timore di improvvisi acquazzoni; semmai sarebbe stato utile qualche ripostiglio aggiuntivo nell’abitacolo.
Più prosaicamente, ma anche prevedibilmente, grandi elogi furono riservati alla tenuta di strada: i Mc Pherson sui due assali, infatti, erano perfettamente in grado di esaltare le qualità intrinseche della disposizione meccanica a motore centrale; semmai qualche avvertenza fu lanciata affinché la sensazione di sicurezza presente al volante della X 1/9 non inducesse qualcuno a sorpassare i limiti dell’auto valutando troppo ottimisticamente i propri, caso in cui diventava molto difficile porre rimedio senza danni.
Anche il consumo fu lodato universalmente: 7/8 litri per 100 km erano sufficienti per divertirsi anche sul misto, non mettendo in eccessiva difficoltà i due giovani cui si è accennato.La mancanza della quinta marcia fu superata solo dopo sei anni dal debutto con l’introduzione, nel 1978, della versione Five Speed che, oltre all’agognato aggiornamento, presentava un nuovo motore da 1,5 litri per 85 CV e modifiche alla carrozzeria che però fecero discutere; in particolare l’adozione dei paraurti tipo USA, conseguenza del fatto che era rimasto l’unico mercato importante per la Fiat X 1/9, ed il cofano motore che divenne esageratamente bombato.
All’interno gli interventi ci paiono contraddittori: migliorata la forma e la qualità dei rivestimenti; banalizzati invece plancia e strumentazione che perdono l’originalità delle origini ed inopportune certe stranezze come i comandi della climatizzazione a botticella della Fiat Ritmo ed una leva del cambio a forma di testa di serpente: entrambi inutilmente originali e poco pratici.
L’auto però, grazie all’inedito livello prestazionale, diventa una piccola Gran Turismo sportiva veramente godibile a tutto tondo, tanto che gli americani la elevano al rango di “Little Ferrari” e noi, per una volta, siamo d’accordo con loro. Nel 1982 cambia nome: non più Fiat ma Bertone che, dal canto suo, parte con una raffica di versioni sempre più vistose denominate “IN’” Lido; VS; Gran Finale, con qualche occasionale sbandata verso il kitsch.
Ed è un peccato per una macchina così carina; non si può negare tuttavia che, dal punto di vista collezionistico, queste serie speciali possano essere molto interessanti; noi però sceglieremmo una Five Speed per viaggiarci ed una prima serie, possibilmente Verde chiaro, da collezione; costo da preventivare dai quindici ai diciottomila Euro per esemplari perfetti.
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