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Fiere italiane sempre più internazionali: +14% le rassegne di richiamo globale

In programma quest’anno 267 manifestazioni internazionali (33 in più rispetto al 2022) e 264 nazionali

di Giovanna Mancini

Milano Unica, Salone italiano del tessile edizione 2022 (Imagoeconomica)

3' di lettura

Accelerare sul processo di internazionalizzazione delle fiere italiane, per agganciare la ripresa post Covid del settore e, soprattutto, per consolidare quel ruolo di strumento di politica industriale che è proprio del sistema fieristico. È proprio all’interno delle fiere, infatti, che si genera ogni anno circa il 50% dellìexport delle nostre imprese, in aprticolare le più piccole, e al tempo stesso gli eventi espositivi sono una leva di sviluppo imprescindibile per i territori.

Lo ricorda il presidente dell’Associazione delle fiere italiane, Maurizio Danese, presentando il nuovo calendario fieristico per il 2023 predisposto dalla Conferenza delle Regioni, anno finalmente partito a pieno ritmo, dopo due anni di difficoltà. Sono 267 le manifestazioni internazionali previste tra gennaio e dicembre, oltre a 264 appuntamenti di carattere nazionale. Aefi registra un aumento nel numero di eventi internazionali e nazionali rispetto al 2022: rispettivamente sono 33 eventi in più nel primo caso (+14%) e 23 nel secondo (+10%).

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Il calendario 2023: la ripresa è consolidata

Se le stime delle agenzie internazionali prevedono solo dal 2024 un ritorno alla crescita rispetto ai livelli pre-Covid, questa dovrà essere trainata da un rafforzamento dell’internazionalizzazione della proposta fieristica italiana, volàno di un’industria capace di generare un impatto sui territori quantificabile in 22,5 miliardi di euro l'anno, per un valore aggiunto stimato in 10,6 miliardi di euro (pari allo 0,7% del Pil), al netto del business generato dalle imprese in occasione dei b2b fieristici, seocndo i dati di uno studio realizzata da Prometeia lo scorso giugno, per conto di Aefi.

«Le fiere rappresentano un anello di congiunzione insostituibile tra l’economia globale e il nostro sistema produttivo – commenta Maurizio Danese –: intercettare e presidiare i mercati chiave per il made in Italy è un asset imprescindibile per lo sviluppo del comparto. Si tratta di una scelta strategica che gli operatori hanno ormai intrapreso, internazionalizzando manifestazioni già esistenti e spingendo l’acceleratore sulle attività di incoming di buyer esteri e sulla promozione all’estero, assieme ai partner istituzionali».

Anche le piccole fiere iniziano a muoversi in questa direzione, con ricadute importanti sui territori, dove attraggono turisti d’affari alto-spendenti. Secondo lo studio di Prometeia, le fiere operano con un moltiplicatore di 2,4: ogni euro di valore aggiunto generato direttamente dal sistema fieristico (da espositori, organizzatori e visitatori) ne produce ulteriori 1,4 nell’economia nazionale.

Le filiere industriali protagoniste nelle fiere

Protagonisti sul fronte della rappresentatività tra le manifestazioni internazionali in programma sono proprio i settori del prodotto italiano con forte propensione all’export, in particolare tessile (14 % delle manifestazioni), “food, bevande e ospitalità” (11%), “sport, hobby, intrattenimento e arte”, “tecnologia e meccanica” e “gioielli, orologi e accessori”.

Dal punto di vista territoriale, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto da sole ospitano oltre il 70% degli appuntamenti internazionali, mentre si concentra tra Lombardia, Piemonte, Campania, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Puglia la gran parte delle manifestazioni italiane nazionali.

Sempre secondo i dati raccolti da Prometeia, il b2b fieristico vede le decine di migliaia di imprese del made in Italy coinvolte ottenere risultati 7 volte superiori rispetto al totale dell’economia italiana (+2% rispetto al +0,3% è la crescita media annua del fatturato dal 2012 al 2019), un’«over performance» a cui il sistema fieristico contribuisce in modo decisivo.

Il vantaggio ottenuto dalle aziende che, fra il 2012 e il 2019, hanno creduto nelle fiere è stimabile in 12,6 punti di crescita cumulata in più delle vendite e 0,7 punti di marginalità lorda (Ebitda) in più, rispetto a chi non ha partecipato.

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