Letteratura

Figlio di badante

di Roberto Carnero

2' di lettura

Chi sono gli “orfani bianchi”? Sono quei bambini, quegli adolescenti, quei minori che vengono lasciati al Paese d’origine dalle tante donne dell’Est - ucraine, moldave, rumene ecc. - che partono per gli Stati del ricco Occidente alla ricerca di un lavoro con cui mantenerli. Impiegate come colf, badanti, infermiere e così via, queste donne vivono una doppia lacerazione: le difficoltà di inserimento in un una nuova nazione, di cui spesso ignorano persino la lingua, e il dramma della separazione dagli affetti più cari.

A questa realtà ci riporta il nuovo romanzo di Antonio Manzini, appunto intitolato Orfani bianchi. Mira si è trasferita dalla Moldavia a Roma, lasciando la madre e il figlio Ilie, al quale manda messaggi e-mail pieni di struggente affetto. Il suo unico scopo è quello di guadagnare soldi da mandare a loro, con la prospettiva di ricostruire il nucleo familiare, in Moldavia, una volta che non avrà più bisogno di lavorare, o magari anche in Italia, dove però i costi sembrano essere proibitivi. Qui trova altre persone da accudire. Sono persone fragili, vinte dall’età e dalle vicissitudini dell’esistenza, spesso abbandonate dai loro stessi familiari. Il contratto di lavoro di Mirta si risolve, come purtroppo accade, con la morte dell’accudito, accompgnato a questo momento inevitabile dalla cura e dell’attenzione di una donna buona e sensibile. Forse perché, soffrendo in prima persona, essa è in grado di comprendere le sofferenze altrui. Ancor più quando la madre muore e il figlio finisce in un istituto.

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Antonio Manzini - noto al pubblico dei lettori soprattutto per i gialli con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone (pubblicati da Sellerio) - passa ora a un genere diverso, quello di un romanzo sociale capace di restituire realistici spaccati dell’odierna vita italiana. Romanzo sociale, abbiamo detto, ma dovremmo dire anche romanzo psicologico, nella misura in cui lo scrittore conduce un profondo scandaglio nella vita interiore della protagonista, resituita con levità di tocco narrativo, talora con un’ironia che occasionalmente vira verso tonalità persino grottesche nel rappresentare il suo modo di relazionarsi con il mondo. Il narratore offre il punto di vista di Mirta sulla realtà, così portando noi lettori a guardare da una visuale inedita quanto ci accade intorno.

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