«L'angelo dei muri», nostalgico thriller italiano
Da vedere al cinema il nuovo lungometraggio di Lorenzo Bianchini, una delle sorprese di questi ultimi tempi. Tra le novità anche il divertente «I tuttofare»
di Andrea Chimento
3' di lettura
Come generare tensione senza effetti speciali: ce lo insegna ancora una volta Lorenzo Bianchini, regista italiano classe 1968, che era riuscito a stupire con «Oltre il guado» del 2013 e che conferma il suo talento con «L'angelo dei muri», uno dei film protagonisti del weekend in sala.
Ambientato a Trieste, racconta la vita di Pietro, un uomo la cui quotidianità regolare e solitaria viene interrotta da un'ordinanza di sfratto dal suo vecchio appartamento. L'anziano non vuole andarsene e mette a punto una strategia per continuare a vivere segretamente dentro casa: un muro in fondo al lungo corridoio dell'appartamento, un vero e proprio nascondiglio verticale dietro cui sparire. Un giorno, però, una madre disperata arriva a stravolgere i suoi piani.
Bianchini gioca ancora una volta in sottrazione, attraverso un minimalismo narrativo e una rarefazione dei dialoghi portata all'estremo: «L'angelo dei muri» è un prodotto essenziale in tutto e per tutto, che riesce a tenere alta la tensione facendo leva soltanto sui movimenti della macchina da presa e sull'ottima fotografia di Peter Zeitlinger, artista noto per la sua collaborazione con Werner Herzog. Attraverso una serie di lunghe inquadrature, il regista ci offre costantemente il punto di vista del protagonista Pietro, che si trasforma presto in un vero e proprio voyeur: spiando gli inquilini del suo appartamento, è come se diventasse uno spettatore cinematografico che segue “le vite degli altri”. Una scelta visiva capace di aumentare il coinvolgimento dal primo all'ultimo minuto.
Un thriller claustrofobico
La trama può far pensare anche a «Parasite» di Bong Joon-ho, con cui «L'angelo dei muri» condivide inoltre una certa attenzione alle dinamiche socio-economiche, ma il nome che viene più in mente durante la visione è Roman Polanski, per come Bianchini utilizza lo scenario claustrofobico dell'appartamento come base dell'intera operazione (da «Repulsione» a «L'inquilino del terzo piano», sono diversi i titoli di Polanski che possono fungere da possibili collegamenti).Il regista italiano ha però uno stile pienamente riconoscibile e, nonostante una sceneggiatura che fatica un po' a risultare scorrevole nella parte centrale, riesce ad appassionare fino all'ultima, malinconica sequenza. Nonostante i colpi di scena non siano troppo originali, il film riesce a coinvolgere e a toccare corde molto profonde nel corso della visione. L'appartamento diventerà presto uno spazio dell'anima per il protagonista, ben interpretato dall'attore Pierre Richard, un altro dei valori aggiunti dell'operazione.
I tuttofare
Toni molto diversi sono quelli della commedia spagnola «I tuttofare» di Neus Ballús.Al centro c'è la storia di Moha, un giovane immigrato marocchino che inizia a lavorare in una piccola azienda idraulica, sita nella periferia della città. Il giovane dovrebbe sostituire in futuro Pep, un operaio anziano prossimo alla pensione, ma sin dal primo giorno non va a genio al capo idraulico, Valero. Nonostante la sua timidezza, Moha riesce senza problemi a gestire la clientela; eppure continua a stare in antipatia a Valero, che sembra tenerlo sempre sotto esame.Le vicende di questi tre “tuttofare” diventano presto surreali, risultando godibili e persino esilaranti in alcune sequenze: la base narrativa è molto semplice, ma il modo in cui sono descritti i lavori quotidiani e la rappresentazione degli eccentrici clienti è credibile e divertente allo stesso tempo.Il film manca di guizzi registici degni di nota, ma la scrittura brillante e la buona prova del cast danno vita a un prodotto capace di fare discretamente bene il suo dovere: non rimarrà molto su cui pensare al termine della visione, ma si passa (circa) un'ora e mezza davvero piacevole e può ampiamente bastare.
loading...