“Le buone stelle”, un film che sa come emozionare
Tra le novità in sala il nuovo lungometraggio del regista giapponese Hirokazu Kore-Eda, già autore del bellissimo “Un affare di famiglia”
di Andrea Chimento
I punti chiave
2' di lettura
Un regista che riesce sempre a emozionare: Hirokazu Kore-Eda torna nelle nostre sale con la sua ultima pellicola, “Le buone stelle – Broker”, un altro importante tassello della sua ricca filmografia. Dopo il magnifico “Un affare di famiglia” e il toccante film francese “Le verità”, l'autore nipponico sbarca in Corea del Sud per una nuova produzione realizzata lontano dal Giappone.
La pellicola si apre mostrando una giovane madre in difficoltà che decide di abbandonare il proprio neonato. Invece di essere accolto dagli assistenti sociali, il bambino sarà clandestinamente preso in custodia da due che millantano di voler trovare per lui la famiglia migliore in cui crescere. Nel frattempo, due detective sono da tempo sulle loro tracce.
Ben girato e forte di un'ottima scrittura dei personaggi, questo lungometraggio riesce a coinvolgere grazie a una serie di sequenze ad alto tasso emotivo, capaci di scuotere soprattutto in una seconda parte decisamente in crescita rispetto alla prima.Inizialmente il film fatica un po' a carburare, ma una volta che si innesta al meglio la narrazione – incentrata su un atipico road movie – risulta sempre più efficace, tanto da regalare anche una serie di interessanti riflessioni e di buoni spunti su cui pensare al termine della visione.
Una nuova variazione sul tema della famiglia. Si può definire “Le buone stelle – Broker” come l'ennesima variazione sul tema più caro all'autore: la famiglia.Anche in questo caso Kore-Eda mostra un nucleo famigliare improvvisato solo in apparenza, in cui sono pochi i legami di sangue, ma sono numerosi quelli relativi a una forte connessione umana volta a costruire insieme un possibile destino comune.
“Un affare di famiglia”
Come in pellicole del calibro di “Father and Son” o del già citato “Un affare di famiglia”, l'autore nipponico è interessato a riflettere sul rapporto tra genitori biologici e genitori adottivi, così come su quello tra adulti e bambini, dando vita a un prodotto che tratta questi temi complessi in maniera delicata ed elegante, senza mai ricorrere alla retorica o a furbe scappatoie.Da segnalare che nel cast c'è il divo del cinema sudcoreano Song Kang-ho (tra i protagonisti anche di “Parasite” di Bong Joon-ho) che, grazie a questa interpretazione, ha alzato il premio come miglior attore all'ultimo Festival di Cannes.
Ninjababy
Tra i titoli del weekend va anche segnalata una piccola sorpresa: il film norvegese “Ninjababy” di Yngvild Sve Flikke.Protagonista è Rakel, una ragazza di 23 anni che non ha idea - o forse ne ha troppe - di cosa farà da grande. Astronauta? Guardia forestale? Assaggiatrice di birra? Fumettista? Tra i suoi piani di prossima realizzazione di certo non c’era un figlio, ma quando rimane incinta, si ritrova con meno certezze di prima.Esordio nel lungometraggio di una regista classe 1974, “Ninjababy” arriva nelle nostre sale dopo aver partecipato a diversi festival e ottenuto numerosi riconoscimenti: sono meritati perché si tratta di una commedia divertente e frizzante, capace allo stesso tempo di prendere sul serio il tema che tratta e di mantenersi leggera e spensierata, offrendo allo spettatore una visione godibile e impegnata allo stesso tempo.Non manca qualche passaggio acerbo e alcuni momenti sono fin troppo didascalici, ma il disegno complessivo è efficace e molto originale.
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