«Belfast»: il film più personale di Branagh, tra nostalgia e troppa retorica
Nelle sale il nuovo lungometraggio del regista di «Enrico V», «Hamlet» e del recentissimo «Assassinio sul Nilo»
Andrea Chimento
I punti chiave
3' di lettura
Un nuovo film di Kenneth Branagh nelle nostre sale: dopo «Assassinio sul Nilo», uscito un paio di settimane fa, il protagonista di questo weekend è «Belfast», probabilmente la pellicola più personale tra tutte quelle dirette dal regista, nato proprio nella capitale dell'Irlanda del Nord nel 1960.
Prendendo ispirazione dalla sua infanzia, Branagh racconta la Belfast del 1969, in un momento in cui gli scontri tra protestanti e cattolici infiammano la città. La vita del piccolo Buddy, intanto, sta per cambiare definitivamente: sommersi dai debiti e allarmati dal clima guerrigliero che si respira, i suoi genitori meditano di trasferirsi in Inghilterra. Per il bambino significherebbe dire addio a tutto ciò che ama: la sua città, la compagna di classe Catherine, gli amici e i suoi nonni. Scritto dallo stesso Branagh, che ha vinto il Golden Globe per la miglior sceneggiatura con questo copione, «Belfast» è un film che guarda direttamente alla sua storia personale, attraverso uno sguardo teso sia a voler esorcizzare il proprio passato sia a raccontare nostalgicamente quella che era la Belfast di un tempo.
Aperto da un brutto incipit in cui si passa in maniera troppo scolastica dal colore di oggi al bianco e nero di ieri, il film vive di una buona fotografia dell'epoca che racconta, cercando di farci empatizzare con il piccolo protagonista.
Un esito altalenante
Se la scrittura è delicata e la rappresentazione della famiglia del protagonista dolce e toccante al punto giusto, il film cade in diverse sequenze retoriche e ricattatorie, che cercano inoltre di sfruttare malamente la passione cinefila del piccolo Buddy.La riflessione sul passato e il presente, unita a quella dei rapporti tra le diverse generazioni, è comunque incisiva, grazie anche alle belle interpretazioni di attori del calibro di Judi Dench e Ciarán Hinds, nei panni dei due nonni del bambino/alter ego del regista.Nonostante si percepiscano tutti i sentimenti e le emozioni che Branagh ha messo in questo film, non si possono però non notare anche una notevole dose di furbizia per forzare un po' le emozioni del pubblico e alcuni passaggi troppo costruiti a tavolino, non necessari vista la forza del soggetto di partenza.
Con ben sette nomination agli Oscar, «Belfast» molto probabilmente non tornerà a mani vuote dalla cerimonia in programma il prossimo 27 marzo.
Beautiful Minds
Non manca un pizzico di retorica anche in un film che ha però sequenze di grande sincerità come «Beautiful Minds», un altro dei protagonisti del weekend in sala.Diretto da Bernard Campan e Alexandre Jollien, questo lungometraggio franco-svizzero racconta la storia di Louis, un uomo single che dirige un'impresa di pompe funebri, e di Igor, un quarantenne disabile fisicamente, ma con una grande mente. Il primo dedica anima e corpo al suo lavoro, il secondo, invece, è estraneo al mondo, ignora la vita reale e ogni forma di amicizia. I due si ritroveranno a intraprendere un viaggio assurdo, durante il quale potranno finalmente sentirsi liberi, togliendosi di dosso i pesi che hanno accumulato durante la loro esistenza. Film che tratta con la giusta intensità il tema dell'amicizia e con altrettanto tatto quello della disabilità, «Beautiful Minds» è una di quelle tipiche pellicole francofone contemporanee, che mescolano commedia e dramma, un po' alla maniera del paragonabile «Quasi amici».I momenti di esplicita spontaneità e quelli sinceramente commoventi non mancano, anche se qua e là fa capolino una certa sensazione di già visto e di scarsa originalità che toglie potere alla visione.A ogni modo, però, i valori più significativi che il film propone sono sviluppati in maniera profonda e al termine dei titoli di coda rimane più di qualche spunto su cui riflettere.Da segnalare che i due registi sono anche i due attori protagonisti della pellicola.
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